Partiamo dal presupposto che circa il 70% delle donne in Tanzania ricava reddito dal lavoro in agricoltura. Lavoro che serve al sostentamento della famiglia in genere, perché è la donna che, grazie alle sue entrate, si occupa della gestione della casa, della crescita e dell'istruzione dei figli.
Non ci sono comunque grandi differenze tra le donne tanzaniane che vivono nelle aree rurali rispetto a quelle urbane.
Con questo si vuol dire che, in un Paese a prevalenza musulmano, nonostante nuove leggi, la condizione femminile resta quella della dipendenza psicologica, e non solo, dal maschio.
La buona notizia è che, a livello nazionale e per tutte le donne, quale che sia la professione o il ruolo che svolgono, si vuole ultimamente valorizzare l'impegno da esse profuso nella lotta per la realizzazione del panafricanismo, lotta che non deve essere considerata storicamente di esclusivo appannaggio maschile.
E questo anche in considerazione dei cinquant'anni d'indipendenza del Tanzania dal colonialismo europeo.
Indipendenza che dovrebbe significare anche reale emancipazione femminile.
Per fare ciò si sta così procedendo ad una raccolta di documenti, tutti funzionali a dimostrare l'impegno della donna tanzaniana lì dove è accertato ufficialmente che esso è stato realmente profuso e nei più svariati campi.
L'annuncio è stato dato qualche giorno fa da Mary Rusimbi in un Convegno sulle pari opportunità.
E tale itinerario di ricerca in favore della donna è stato favorevolmente salutato anche da Silvia Tamale, docente dell'università ugandese di Makerere, che auspica la stessa cosa molto presto anche per l'Uganda.
A cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)