Tasse e privacy: la democrazia confusa

Creato il 14 marzo 2012 da Albertocapece

Licia Satirico per il Simplicissimus

Per Francesco Pizzetti, garante della privacy, «la via dell’inferno è lastricata di buone intenzioni»: l’inferno di Pizzetti sarebbe la tentacolare violazione della riservatezza e le “buone intenzioni” la diabolica trasparenza, intesa come «spinta al controllo e all’acquisizione di informazioni sui comportamenti dei cittadini che cresce di giorno in giorno». Commentando le cifre del volume su “Sette anni di protezione dati in Italia”, Pizzetti ha attaccato le norme introdotte dal governo Monti in materia fiscale.
I nuovi provvedimenti rappresenterebbero “strappi forti allo Stato di diritto”, in grado di aumentare lo spread tra la democrazia italiana e le altre democrazie occidentali: essere considerati dei potenziali mariuoli “è proprio dei sudditi”, ed è tipico di uno Stato “non democratico” pensare che tutti i cittadini siano possibili violatori delle leggi. Il cittadino non deve diventare un “sospettato a priori”, pena il rischio di innescare fenomeni di controllo sociale di dimensioni spaventose. Ciò varrebbe anche per la disciplina delle intercettazioni, ma soprattutto per la scelta – contenuta nei decreti Sviluppo e Salva Italia – di ridurre l’applicazione alle imprese del codice per la privacy, con ingenti danni derivanti dalla possibile perdita di dati e dallo spionaggio industriale.

L’imbarazzante silenzio con cui i garanti, nella famigerata veste di terzi, operano nel nostro Paese è stato finalmente rotto. E tuttavia, nelle stesse ore in cui Pizzetti formulava il suo pizzino di osservazioni pro-privacy, per infernale coincidenza il presidente della Corte dei Conti Luigi Giampaolino ha accusato l’esecutivo di mantenere una pressione fiscale troppo alta, che penalizza il contribuente fedele costringendolo a pagare il 45% di tasse. Una volta il contribuente fedele sarebbe stato designato come lavoratore dipendente o impiegato statale, ma oggi il tocco chiesastico è in linea con lo Zeitgeist e non guasta.
Authority della riservatezza e Corte dei conti si scagliano contemporaneamente contro il governo con messaggi di contenuto simile eppure contraddittorio. L’impressione bizzarra è che Giampaolino si sia preoccupato del contribuente fedele e Pizzetti di quello infedele, in una folgorazione garantistica che dimostra sia l’opacità della trasparenza sia le ambiguità formidabili della privacy come oggetto privilegiato di tutela. In assenza di opportune delimitazioni la privacy può diventare una specie di manto della misericordia, che avvolge tutto ciò che non è opportuno consegnare alla trasparenza. Qualche mese fa Daniela Santanché si lanciò a difesa della privacy dei mafiosi, invocando le medesime istanze di pudore e dignità con cui il Pdl ha tentato di sdoganare la legge bavaglio anti-intercettazioni. In fondo, perché mai non dovrebbe essere tutelata la dimensione intima dei sospettati a posteriori, che sarebbero altrimenti penalizzati rispetto ai sospettati a priori di cui parla Pizzetti?

In contrasto con la normativa europea, l’Authority italiana sollecita per le persone giuridiche protezione più intensa che per le stesse persone fisiche, nell’evidente timore che l’eccesso di trasparenza possa nuocere alle aziende che non intendano, ad esempio, rivelare i nomi dei propri clienti: neanche la privacy, per il bene delle attività produttive, è uguale per tutti. Mentre i contribuenti fedeli affrontano l’inaudita pressione fiscale col pensiero rivolto all’avvenire, quelli infedeli si preparano – grazie a Pizzetti – a combattere una nuova battaglia di democrazia.

Chi detiene il potere governa il linguaggio, paccate a parte. Tra qualche anno ci interrogheremo sulla valenza semantica della paccata nelle trattative sulla riforma del mercato del lavoro. Per il momento, lavoriamo su materiale consunto e quasi obsoleto: democrazia è una delle parole più abusate degli ultimi vent’anni. Attraversiamo quella che Giovanni Sartori ha definito democrazia confusa e Colin Crouch (eufemisticamente) postdemocrazia: una transizione lunga e dolorosa dalla tradizionale democrazia rappresentativa verso un’oligarchia, politica o tecnica, di plutocrati e lobby economiche. A minare la democrazia non è tanto il Grande Fratello orwelliano evocato dal garante, quanto ciò che ne resta nell’epoca della trasparenza: uno Stato diseguale nella distribuzione delle tutele come della privacy, della libertà e della giustizia. La via dell’inferno è questa, e non pare affatto lastricata di buone intenzioni.


Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :