Alcoa, Keller, Akhela. Bastano i nomi di queste aziende, riportati nelle cronache dei quotidiani sardi, per descrivere la pesantissima crisi dell’economia sarda. Dismissioni, procedure fallimentari, licenziamenti, cassa integrazione, contratti di solidarietà sono all’ordine del giorno. Imprese strangolate dalle tasse, artigiani e commercianti che chiudono bottega. Famiglie disperate. Le industrie pesanti, abbondantemente foraggiate dalla politica in questi sessantasei anni di autonomia speciale, continuano ad abbandonare il territorio isolano dopo averlo sfruttato. E da qualche anno stanno cadendo sotto i colpi della crisi tante piccole e medie imprese e piccoli artigiani, che hanno sempre rappresentato l’ossatura dell’economia regionale. Distrutti dalle tasse, artigiani e piccoli imprenditori devono lavorare la maggior parte dell’anno per pagare il Fisco. E spesso scompaiono nell’indifferenza di una classe politica che, probabilmente troppo condizionata dagli interessi delle grandi lobby economiche, non riesce a capire la reale importanza di chi ogni giorno, con il suo lavoro, prova con duri sacrifici a muovere la nostra economia. Gli artigiani muoiono di tasse e burocrazia. E con loro muore anche la loro arte, il loro sapere, la loro esperienza. Perché una legislazione miope non gli consente neppure di avere delle agevolazioni sulle tasse per prendere a bottega un apprendista al quale insegnare il loro mestiere.
In Sardegna, in questi anni sono state presentate in Consiglio regionale innumerevoli proposte di legge che prevedevano delle agevolazioni fiscali per sgravare dalle tasse e dalle imposte le imprese intenzionate ad insediarsi sul territorio isolano. Alcune, fortunatamente, sono state attuate, come quelle previste nell’area più povera d’Italia, il Sulcis-Iglesiente, dove è stato concesso un credito d’imposta alle piccole e micro imprese che operano nella zona franca urbana della provincia di Carbonia-Iglesias. Ma per la maggior parte, come tante volte è stato denunciato (vedi le ripetute dichiarazioni in Consiglio regionale dell’oggi senatore di Sel Luciano Uras), nella nostra regione non si riesce neppure a dare esecuzione alle leggi approvate dal Consiglio regionale.
Tasse e zona franca
La zona franca è uno degli strumenti di sviluppo economico previsti dallo Statuto Speciale (articolo 12) per diminuire tasse e imposte alle imprese localizzate in Sardegna. Eppure, come si sa, la disposizione che prevede i punti franchi non è stata mai attuata.
Nel 2012 la nascita del Movimento Zona Franca Sardegna aveva riaperto con forza il dibattito sulle zone franche, sulle agevolazioni fiscali alle imprese e sulla eccessiva tassazione nella nostra isola, facendolo finalmente conoscere alla gran parte della popolazione con un grande sforzo partecipativo che ha coinvolto la gran parte dei comuni sardi.
Una grande mobilitazione popolare che lo scorso anno ha portato addirittura al risultato della riscrittura dell’articolo 10 dello Statuto da parte del Parlamento italiano con il risultato, certo non decisivo ma simbolicamente importante, di allargare lo spettro dei possibili interventi regionali per alleggerire le tasse nell’isola.
Ma questa mobilitazione popolare, che si sarebbe dovuta gestire in maniera assolutamente apartitica, ha finito per essere strumentalizzata durante la campagna elettorale dello scorso febbraio. Il dibattito sulla zona franca e sui punti franchi doganali, che probabilmente vista la complessità dell’argomento avrebbe richiesto un confronto costruttivo tra le diverse visioni in modo da affinare le soluzioni più idonee per raggiungere il risultato migliore per diminuire il carico di tasse e imposte nell’isola, è finito scriteriatamente nel tritacarne mediatico della campagna elettorale.
Il Movimento Zona Franca in quell’occasione ha fatto l’errore di schierarsi con una parte politica, il centrodestra, una mossa che ha provocato una deleteria spaccatura al suo interno e soprattutto gli ha fatto perdere credibilità agli occhi dell’opinione pubblica che ormai (l’affluenza alle urne lo dimostra ad ogni tornata elettorale) si sente maggiormente rappresentata da movimenti e associazioni slegate dalle dinamiche della politica tradizionale.
I sardi, scottati dai cinque anni di promesse berlusconiane, non hanno creduto al sogno di una Sardegna duty free sbandierato dall’ex governatore Ugo Cappellacci, ma hanno dato retta al realismo e alla pacatezza di Francesco Pigliaru.
Morale: dopo le elezioni il dibattito sulla zona franca, che aveva avuto il grande merito di mobilitare tutta l’opinione pubblica della Sardegna sull’annoso problema delle eccessive tasse e imposte per le imprese e i cittadini, si è affievolito ed è tornato a viaggiare sui binari delle vaghe e confuse teorie di economisti che sicuramente poco hanno presenti le reali difficoltà in cui navigano imprese e famiglie in Sardegna.
Ora neppure i punti franchi doganali nei porti di Cagliari (dove c’è già la perimetrazione e da anni si discute sul progetto industriale), Olbia, Oristano, Porto Torres, Portovesme e Arbatax sono più una certezza, nonostante un decreto del lontano 1998 (Giunta Palomba) ne permetta la realizzazione (vedi anche questo post).
Cosa succede nelle altre regioni
Oggi la Regione sarda, che ovviamente dichiara di voler aiutare in tutti i modi le imprese isolane, in realtà non riesce a trovare un accordo su nulla e fa passare inesorabilmente del tempo prezioso. Nel frattempo le altre regioni vanno avanti velocemente sulla strada della fiscalità agevolata e nella tutela delle loro imprese e dei loro cittadini da oneri fiscali e tasse eccessive.
Dopo il recente riconoscimento della Zona franca doganale del porto di Taranto, un accordo di zona franca è stato presentato anche per il porto di Civitavecchia. A Ragusa, la Giunta del Movimento 5 stelle ha invece creato una sorta di zona franca, un’area fiscale agevolata per le imprese che vogliono insediarsi nel centro storico. Non solo: a Como la Lega di Roberto Maroni ha istituito con successo la “carta sconto benzina” (che peraltro era stata una delle proposte del Movimento sardo per la zona franca) e sta per presentare al Consiglio regionale lombardo una proposta di legge come quella presentata dalla Regione Calabria per Gioia Tauro (su cui il Governo aveva già espresso un parere favorevole). Finalità? Creare una zona economica speciale per aiutare le imprese lombarde a competere con quelle del vicino Canton Ticino sgravandole dalle tasse.
Tutto ciò a dimostrazione che in questo momento di crisi, per difendere la specificità dei territori e le imprese locali è assolutamente necessario creare zone a burocrazia zero e a fiscalità agevolata.
La Sardegna invece sta sprecando la sua specialità e la sua autonomia e ora rischia seriamente di perderla del tutto se andrà in porto il progetto di riforma del Titolo V della Costituzione voluto dal Governo Renzi.
Nonostante tutto, la politica sarda sembra ancora muoversi lentamente, incurante del fatto che artigiani, piccole e medie imprese e piccoli commercianti, l’ossatura delle nostra economia, boccheggiano e muoiono di tasse e imposte.
La mobilitazione di Bonarcado
In questi ultimi mesi, dopo le divisioni del periodo elettorale, sembra che il Movimento Zona Franca Sardegna si stia ricompattando con la volontà di cambiare nettamente pagina e marcia rispetto al passato.
Il prossimo 12 settembre a Bonarcado (dalle 11 alle 18 presso l’azienda ittica Zenna Uda) è in programma un’assemblea di tutti i militanti (questo è il link della pagina facebook) aperta a “chiunque vuole lottare per un progetto di sviluppo economico”.
«Siamo tutti chiamati a formulare delle proposte d’azione, a riunire tutte le componenti dei movimenti, di destra e di sinistra, di centro e apartitiche per formulare un progetto che unisca e non divida», scrive sul suo profilo Facebook, uno dei leader del Movimento, l’avvocato Francesco Scifo. «La mia idea e tutte le vostre proposte tasteranno il polso dei movimenti e potranno dirci quale strada si potrà percorrere. Una riunione sociale per discutere e parlare di presente e futuro: il passato lasciamolo alla storia. La Sardegna – prosegue Scifo – deve porre sul tavolo tutte le prerogative del suo Statuto: intavolare una trattativa con il governo per fare applicare la legge non cercare falsi obiettivi. Aderite in massa all’evento del 12 settembre, lanceremo insieme una nuova strategia per sconfiggere tutti i partiti della conservazione che hanno generato la crisi».
L’emendamento al Senato
Intanto l’emendamento presentato dal senatore siciliano Giovanni Mauro (n. 28.151) al Disegno di legge di revisione del titolo V della Costituzione che prevedeva l’istituzione in Sicilia e in Sardegna della zona franca integrale, è stato inesorabilmente cassato.
Il Ddl è stato infatti approvato in prima lettura dal Senato lo scorso 8 agosto, ma l’emendamento non è neppure arrivato all’esame dell’Aula in quanto non ha passato il vaglio della Commissione autonomia di Palazzo Madama, presieduta da Anna Finocchiaro del Pd (unico sardo il senatore cagliaritano Luigi Zanda, anche lui del Pd).
L’emendamento chiedeva la modifica dell’articolo 119 della Carta Costituzionale con la seguente aggiunta:
«c-bis). Il territorio della Regione siciliana e quello della Regione Sardegna sono posti fuori dalla linea doganale e costituiscono zona franca interclusa dal mare territoriale circostante; i punti di entrata e di uscita sono individuati nei porti ed aeroporti della Sicilia e della Sardegna. Le zone franche insulari sono disciplinate dalle leggi fiscali dello Stato italiano e dell’Unione europea che si applicano ai territori extradoganali».
Non c’era bisogno di conoscere la sorte di questo emendamento per capire che lo Stato italiano non ha nessuna intenzione di concedere alla Sardegna né la zona franca né altre agevolazioni. Anzi, da quanto si apprende dalla stampa, il Governo pare miri in questo periodo soltanto al rafforzamento della presenza militare nella nostra regione suscitando il malcontento di gran parte dei sardi: il giorno dopo Bonarcado (il 13 settembre) è infatti prevista anche una mobilitazione contro le servitù militari e le esercitazioni nell’isola dei caccia istraeliani davanti al poligono militare di Capo Frasca.
Saprà la politica sarda comprendere i malumori e le richieste della popolazione per rivendicare con più forza i diritti della Sardegna? Oppure continuerà a farsi dettare la linea politica ed economica da Roma?