Per la prima volta, la tecnica di sequenziamento del DNA su larga scala è stata utilizzata per studiare un postulato della teoria evolutiva mai verificato: i tassi di mutazione del DNA sono influenzati da tratti specie-specifici. Tra questi in particolare, vi sono il tasso metabolico e l’intervallo di tempo trascorso tra la nascita di un individuo e quella della sua prole, denominato tempo di generazione.
Kateryna Makova, professore associato di biologia della Penn State University insieme con il primo autore Melissa Wilson Sayres hanno utilizzato dati di sequenziamenti sull’intero genoma relativi a 32 specie di mammiferi, compreso l’essere umano.
I ricercatori si sono concentrati in particolare sul tempo di generazione: “La correlazione attesa tra tempo di generazione e tempo di mutazione è assai semplice e intuitivo: quante più sono le generazioni di una specie per unità di tempo, tante più è alta la probabilità che si verifichi una mutazione a carico del DNA”, ha sottolineato la Makova, che firma un articolo di resconto sulla rivista Evolution. “Nel caso dei topi, per esempio, 100 anni equivalgono a 200 generazioni, mentre nell’uomo solo a cinque”.Un dato interessante emerso nella ricerca è che il tempo di generazione influenza in modo differente maschi e femmine, secondo un fenomeno noto come male mutation bias, dal momento che lo sperma dimostra di avere un più alto tasso di mutazione rispetto alla cellula uovo, sempre legato al tempo di generazione.“Le femmine di ogni specie vengono alla luce con una riserva di ovociti fissata una volta per tutte, e queste cellule devono dividersi solo una volta per essere fecondabili”, ha aggiunto la Makova. “Per contro i maschi producono sperma per tutta la vita riproduttiva e in confronto aqiello degli ovociti il DNA degli spermatozoi subisce più duplicazioni aumentando la probabilità di mutazione”.
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