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Tatuaggi e fotografia: ritratti di una passione.

Creato il 30 giugno 2015 da Claudia Stritof

Herbert Hoffmann è un nome molto importante nel mondo del tatuaggio e molti appassionati “del settore” lo conoscono bene, ma in pochi sanno che oltre ad essere “il più vecchio tatuatore in attività del mondo”, è stato anche un eccellente fotografo.

Oltre mille i tatuaggi sul corpo ma neanche uno su collo e viso, Hoffmann con la sua arte ha contribuito a rendere tale un mestiere che prima non era visto di buon occhio, soprattuto nella Germania nazista, contesto culturale e storico in cui il giovane Hoffmann è cresciuto.

A cinque anni dalla sua morte (30 giugno 2010) è giusto ricordarne la carismatica personalità in un momento molto importante per la rivalutazione del tatuaggio, che da poco in Italia ha fatto il suo ingresso in un museo, con l’esposizione delle donne tatuate di Marco Manzo al Maxxi di Roma.

Tatuaggi e fotografia: ritratti di una passione.

Al più antico tatuatore in attività della Germania è stato dedicato un libro fotografico “BilderbuchMenschen – Tätowierte Passionen 1878-1952″ (“Living Picture Books – Portrait of a Tattooing Passion 1878-1952″) edito nel 2002 e contenente più di 400 fotografie in bianco e nero scattate dallo stesso Hoffman durante i suoi oltre 30 anni di carriera. L’attenzione del tatuatore-fotografo in questi scatti non è per il dettaglio, ne per il particolare del tatuaggio, come invece molto spesso accade nelle riviste specializzate, ma per la persona e il suo essere, un vero e proprio studio antropologico di tutte le diverse personalità che Hoffmann ha incontrato lungo la sua strada, perché l’importante non è il tatuaggio in sé, ma le storie di vita che si celano dietro certe scelte e che trasformano il proprio corpo in una tela dipinta su cui imprimere i segni dell’esistenza. Quello che traspare dalle fotografie di Hoffmann è l’amore per il proprio corpo e per quello di intere generazioni che da lui hanno voluto essere tatuate e fotografate.

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Herbert Hoffman nasce a Stettino nel 1919, una città della Pomerania anteriore tedesca, fin dalla tenera età ammira con devozione estatica i corpi delle persone tatuate che incontra per strada, di solito proletari e uomini semplici, che con fierezza mostrano tatuaggi in zone ben visibili del corpo, come mani e braccia, in una Germania nazista in cui era proibito tatuarsi il corpo per non incorrere nel rischio di essere visti come elementi degradanti e pericolosi. Ma Hoffmann è proprio in questi uomini del popolo che trova la sua personale fonte di ispirazione e che solo di lì a pochi anni emergerà con tutta la sua forza e si trasformerà in un mestiere che svolge fino all’età di 90 anni con passione e devozione.

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Da giovane lavora come fornaio ma nel 1939, in seguito alla chiamata alle armi, si arruola nell’esercito dove nel ’44 viene fatto prigioniero dall’Armata Rossa, solo una volta liberato va ad Amburgo dove decide di farsi tatuare sulla mano destra il suo primo tattoo raffigurante una croce, un’ancora ed un cuore, simboli delle virtù teologali, sottolineate dalle scritte fede, speranza e carità inserite in un cartiglio.

Era il 1949 e per il giovane trentenne quello sulla mano destra era solo il primo di un’infinita serie di tatuaggi. Impara il mestiere da autodidatta e sperimenta le sue prime opere su uomini anziani che si prestano al giovane inesperto, fino a che nel 1955 ottiene la licenza e apre il suo studio ad Amburgo: “Herbert Hoffmann – Älteste Tätowierstube in Deutschland” (“Il più vecchio studio di tatuaggi della Germania“), ed è proprio in questo studio che contemporaneamente inizia a scattare fotografie con la sua Rolleiflex.

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Oggi i tatuaggi sono la normalità, o quasi, e infatti negli ultimi anni si nota un’attenzione particolare verso questa forma d’arte, ma c’e stato un tempo in cui questi non lo erano e tra le figure che hanno permesso all’arte del tatuaggio di ottenere un giusto riconoscimento globale, c’e l’eclettica figura di Herbert Hoffmann che con il suo lavoro ha contribuito a sdoganare pregiudizi e preconcetti. Con lucidità fenomenologica ha sempre delineato un vivido ritratto di questo sfaccettato mondo, ben visibile nelle sue nitide fotografie in bianco e nero, in cui anni e decenni di storia raccontano di un mondo in continua evoluzione in cui le mode, gli stili mutano ma non viene mai meno la genuina passione che porta donne, uomini, giovani e anziani a imprimere segni indelebili sulla propria carne.

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Chi è estraneo al tatuaggio spesso vede solo corpi deturpati o raramente abbelliti da tatuaggi incancellabili che evocano sofferenze fisiche e rischi di infezioni…ma per chi si tatua non è così. Nessuno si tatua per diventare più brutto, nè per masochismo! Chiunque si tatua, lo fa per dare a se stesso qualcosa di più: per essere più bello, per sentirsi e apparire più forte, più sexy, per dare sfogo a un dolore, un lutto, una gioia, un amore, per scongiurare una paura, un pericolo o per gioco…Ci si tatua per esprimere i sentimenti più seri e profondi e per quelli più superficiali e frivoli e… perchè no?, per rivendicare il proprio diritto al gioco. Non ho mai incontrato qualcuno che si tatuasse per farsi del male! Spesso i tatuaggi che vediamo per strada non sono proprio bellissimi, questo però dipende dalla disinformazione a dal cattivo gusto dilagante, non da un intento autolesionista. Oggi sono brutti i vestiti, la moda,le automobili, le case,la pittura..e sono brutti molti tatuaggi…solo un’informazione corretta e libera da pregiudizi e luoghi comuni può insegnare a distinguere quelli belli da quelli brutti e aiutare a capire che un bel tatuaggio è un tatuaggio che ti rende più bello…”.


Testo © Claudia Stritof. All rights reserved.


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