CAPITOLO 1.
Non intendo dire che chi ha un tatuaggio è maleducato ma solo, che troppo spesso, viene superato il confine del buon gusto. Secondo una recente ricerca di un'università americana (si dice sempre così quando si vuole dare autorevolezza ad una minchiata di costume), le prossime generazioni potrebbero avere le classiche "voglie epidermiche" del pigmento dei tatuaggi. Sì, il tatuaggio è così diffuso che entrerà a fare parte del patrimonio genetico, rubando spazio a elementi ormai non più necessari alla vita umana come le sinapsi, i neuroni e/o i tessuti cerebrali. In questi giorni ho assistito ad un campionario di tatuaggi incredibile e qui se volete ne trovate alcuni oltre ogni immaginazione. Dal devoto con il rosario e crocefisso tatuato al collo (salvo poi tirare un porca mado**a ogni dieci minuti) a quello con il nome "ROCCO" tatuato in caratteri cubitali sulla schiena; da quello con la bandiera italiana sulla caviglia che lo faceva sembrare un prodotto low-cost low-quality made in Italy, alla mamma in dolce attesa con un Bart Simpson, nel noto gesto di mostrare le chiappe, in bella mostra sulla spalla. Impossibile tralasciare le citazioni in latino, su corpi dotati di vocabolario italiano ridotto al minimo e privati dell'uso di qualsiasi tempo verbale che non sia presente indicativo o imperfetto, e i Kanji che, con tutta probabilità, sono nomi di piatti giapponesi. Io sono dell'idea che molte persone, invece di profondissime citazioni Zen, sono in giro con scritto sull'avambraccio "Shabu shabu", che altro non sono che fettine di carne di vitello e maiale molto sottili lessate in brodo leggero. Il must, però, tra vari tatuaggi tribali e maori situati in ogni dove, farfalline spiaccicate su decolté improponibili o delfini spiaggiati su girovita, "troppo" girovita, è senza timore di smentite, il tizio smilzo e allampanato con le due scimitarre che incorniciano la scritta "PERSEVERANZA" su un petto piuttosto tisico. Subito dopo aver visto questo popò di capolavoro sono riuscito, con molta fatica, a resistere all'impulso di tatuarmi "PERPLESSITA' E SGOMENTO" sui lombi. Dicevo prima che non associo il tatuaggio al comportamenti incivili, anche se spesso, tatuaggi quantitativamente rilevanti, sono portati a spasso da persone che riescono a indispormi. Rimango dell'idea che è una regola delle buone maniere quella di evitare le esagerazioni.
Esaurito l'argomento tatuaggi, ma ci sarebbe un saggio in più tomi da scrivere, introdurrei il secondo argomento del primo capitolo. Le comodissime, quanto famigerate e spietate, infradito. Ce ne sono di tutti i colori e le fogge. Il problema è che l'80% (l'ottanta per cento) di chi le indossa non ha conseguito il patentino europeo di camminatore con infradito. Ci vuole così tanto per capire che l'infradito, ma qualsiasi tipo di ciabatta, alza palate di sabbia? E che sarebbe cosa buona e giusta camminare con attenzione e, se possibile, non utilizzare gli asciugamani altrui come cordoli in una chicane di F1? Invece no! Come novelli Alonso e Webber, i piloti di infradito, ti sfrecciano a 250 km/h a 5 centimetri dalla testa, fornendoti un servizio di sabbiature tricologiche non richiesto, quando ti va bene. Nei casi più sfortunati ti ritrovi la spiaggia di Copacabana a ballare samba sulle tue lenti a contatto, mentre avvolto dalla polvere, inutilmente, cerchi di prendere targa e modello delle infradito che ti hanno appena investito.
Leggi il capitolo 2.
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