Anna Lombroso per il Simplicissimus
Oggi sul Sole 24 mi sono imbattuta su un concetto sconcertante, un equilibrismo verbale acrobatico e spericolato a sostegno delle ragioni della Tav: bisognerebbe mettere in primo piano l’impatto “reputazionale” che avrebbe non corrispondere alle aspettative dell’Europa..o forse agli ordini secchi e perentori. La formula fa rabbrividire più delle, almeno visionarie, convergenze parallele. Ma sbalordisce ancora di più che ci sia qualcuno, oltre al governo degli attendenti della troika, che pensa che ridurci in soggezione suicida come e peggio della Grecia, sia un prezzo necessario, ragionevole e desiderabile per salvarci l’onorabilità, indebitati, espropriati di sovranità e diritti, ricattati, umiliati, ma graditi ai superbi.
Quando il pragmatismo si volge in utilitarismo, si finisce per perdere di vista il fine, arrabattandosi a ricavare qualche mancetta, qualche briciola che casca dal tavolo dei grandi. E che se proprio ci si dovesse uniformare a certi capisaldi europei, allora magari si dovreebbe ubbidire ai principi secondo i quali nella realizzazione dei progetti «gli stati membri devono tenere conto della tutela dell’ambiente, effettuando approfondite valutazioni d’impatto ambientale dei progetti comuni da attuare». O che si deve prevedere un «ruolo importante nel traffico ferroviario di passeggeri su lunghe distanze» e è opportuno agevolare « il trasporto delle merci attraverso l’individuazione e lo sviluppo di grandi assi riservati al trasporto merci o destinati in via prioritaria ai convogli merci».
E ancora di più che la cattiva nomea italiana è probabilmente da attribuibile a un presidente del consiglio che faceva le corna dietro la testa della Merkel, ma soprattutto alla corruzione, al clientelismo e al personalismo che si sono intrecciati malignamente consolidando l’egemonia di malaffare e criminalità organizzati e capillari, a una classe politica collusa e incapace, a una classe imprenditoriale ottusa e codarda, dedita solo alla pigra pratica dell’accumulazione grazie all’azzardo finanziario, al disincanto tossico dei cittadini per partecipazione e democrazia, a un territorio manomesso dove si consumano tremende disuguaglianze e separatezze insanabili.
Grazie anche ai buoni servigi resici dalle agenzie di rating, siamo dei cattivi soggetti. ma qualcuno ha contribuito a rafforzare la cattiva fama, così da farci incutere diffidenza e da alimentare in noi paura una maledetta paura che ci ha consegnati a una ideologia fondata sulla necessità che obbliga alla dimissione dal pensiero ragionante, sulla rinuncia alla possibilità che ognuno di noi dovrebbe avere di pensare a una alternativa meno cruenta, sulla resa incondizionata alla tirannide severa e solipsistica di un governo intento a rimuovere ogni diritto primo tra tutti quello di contare ma perfino di esprimersi sulle scelte che riguardano interesse generale e beni comuni.
Non so se anche a voi ricorda qualcuno questa descrizione che Stuart Mill fa di Bentham: “egli non aveva simpatia per i più naturali e forti sentimenti della natura umana; era estraneo alle esperienze più intense di tale natura. E la facoltà per la quale uno spirito comprende uno spirito differente da sé gli era negata dalla sua mancanza di immaginazione.” Eh si, per frigidi ed egotici sacerdoti del mercato e del profitto l’immaginazione è un optional sgradito, ma maneggiare con i guanti e la mascherina di protezione per non esserne contagiati. Per restare ben accomodati nei privilegi sia pure miserabili e senza visioni e bellezza, salvo comprarsi uffici, garage, azioni a consolidamento di un potere che si avvita sul perno dell’accumulazione.
Personalmente non credo che tutte le resistenze anti Tav siano mosse da motivi nobili, il mio interesse per l’ambiente è sufficientemente laico per non intravvedere anche pulsioni localistiche e egoistiche, per non essere disturbata da quella vena prevaricatrice che a volte assume il proselitismo, per non sapere che non tutte le passioni per i beni naturalistici mettono davvero al centro il bene comune. Ma la Tav ora è davvero una imposizione simbolica quanto la rimozione dell’articolo 18, un prezzo che ci viene inflitto di pagare, per qualcosa che ha le possibilità concreta di realizzazione e gli effetti progressivi di un Ponte sullo Stretto. E che dirotta fondi disperdendo invece la necessità programmatrice di investire sul trasporto su ferro, quello davvero ecologico, di passeggeri oggi di seconda e terza classe, e di merci che sarebbe auspicabile ricominciare a produrre.
L’ostinazione allegorica di volere la Tav dimostra anche la vera natura del no alle Olimpiadi. Un no benvenuto ma segnato dalla dichiarazione di impotenza a governare una macchina complessa, a fronteggiare i fenomeni di corruzione e le infiltrazioni del malaffare. Un treno ad Alta velocità (o alta capacità che sia) che si sovrappone a uno esistente, che congela miliardi su miliardi, annienta altre iniziative necessarie, crea le condizioni di appalti fuori controllo, urta con scelte drammaticamente diverse sul sistema dei trasporti, nazionale e locale, pare invece sia “sotto controllo”, forse perché giochi, alleanze, spartizioni si svolgono altrove? La dice lunga il fatto che ministri, opinionisti, partiti siano sconcertati e sorpresi per la diffusione della sindrome noTav in buona parte d’Italia, tacciata di anarcosindacalismo, anarcolocalsimo, nimby estremo, luddismo. Ma appunto la scarsa immaginazione gioca brutti scherzi non aiuta a spiegare la realtà e rende inclini all’opportunità o alla necessità della pura repressione.
Sarebbe pedagogico che quel referendum che colpevolmente i no Tav hanno evitato su scala locale, si facesse a livello nazionale. Diventerebbe un formidabile indicatore di quelle che gli italiani si aspettano dalla crescita all’europea. Ma siamo in un’era di operazioni solo simboliche, il nostro parere verrebbe cancellato come fosse scritto sull’acqua..quella pubblica.