E mentre Travis ci portava nei meandri più oscuri e infimi della New York di fine anni 70 e nel profondo dell'animo umano, le pietre calde del crescentone rianimavano i nostri corpi indolenziti. A metà tra l'estasi sognante del tossicodipendente e la realtà cruda di certi risvegli amari, la crisi individuale, dissociata e folle del protagonista resta un monito di attualità disarmante. Nulla cambia tra ieri e oggi, perché ci si sente soli anche in mezzo a migliaia di persone, abbandonati alla nullafacenza nonostante le innumerevoli energie giovanili, qualità e buona volontà; condizione comune anche oggi, soprattutto in quest'Italia spaventata dal cambiamento, che costringe le energie nuove a rinchiudersi in un sottosuolo, a lavorare solo di notte, nei peggiori posti, con le peggiori compagnie.
E se da una parte il film fa riflettere per le cause sociali di certe malattie da solitudine e da abbandono, dall'altro lato la storia del protagonista, il suo allenamento fisico ed interiore non sono altro che lo specchio di una rovina mentale in cui le immagini della città sono un paesaggio dell'anima e mostrano una storia umana, passioni normali, amori semplici e ridicoli, nella ricerca di un sé che precipita nell'abisso. La follia carpisce il protagonista, fino a portarlo all'omicidio. E al delirio di un finale in cui, riconosciutigli il suo valore e gli onori che merita per aver ucciso due protettori e liberato una prostituta minorenne, pur restando un tassista qualsiasi, la bella Betsy ritorna innamorata da lui.
Che, in fondo, è il sogno di tutti...