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Taxi teheran

Creato il 03 settembre 2015 da Veripaccheri
Taxi Teheran di Jafar Panahi  Iran, 2015 genere, drammatico durata, 85' 
Il saliscendi di personaggi grotteschi, ma ognuno a modo proprio funzionale nello svelare la finzione da subito dichiarata, incede con un’inerzia che rende difficoltosa la digestione del nuovo film di Panahi.
TAXI TEHERAN “Taxi Teheran”, premiato con l’Orso d’oro all’ultima edizione della Berlinale, è nelle intenzioni una denuncia nei confronti del sistema di censura che è di fatto la morte culturale di un luogo come l’Iran, censura di cui una delle maggiori vittime è lo stesso Panahi. Dicevamo nelle intenzioni perché a conti fatti il film è un mockumentary girato in maniera piuttosto goffa - l’unica nota di merito è il posizionamento della m.d.p. sempre all’interno dell’abitacolo, a simboleggiare la soffocante condizione di prigionia personale ed artistica vissuta dal regista - che dopo lo stentato avvio post-neorealista inizia ad entrare in una tempesta di meta-cinema maldestro ed a tirare in ballo argomenti cui non s’accenna mai un tentativo di approfondimento. Tutti elementi, questi, per un paradosso che non ci riesce – o ci rifiutiamo – di capire, che hanno fatto urlare al capolavoro nei salotti buoni della sinistra (nei quali la critica cinematografica italiana in primis sguazza da decenni) e che non a caso hanno portato alla premiazione nel contesto di un festival come quello di Berlino, dove la tematica sociale viene spesso elogiata  a scapito del cinema, elemento scomodo, quindi da abbandonare in uno scantinato buio e da dimenticare.
Al netto dell’indigestione cui si faceva cenno sopra - evidentemente provocata non da una difficile decodifica, ma al contrario da un’iper-semplificazione che rende tutto inconsistente - “Taxi Teheran” ha avuto il merito di mostrare come pubblico, critica (e registi) siano stati diseducati al cinema; e se è vero che in Paesi come l’Italia il problema è dalla parte opposta - si vedano i fondi pubblici dilapidati per produrre oscenità con un’inquietante solerzia - è vero anche che non basta una storia esterna al film, per quanto dolorosa, per fare il film.
La rosa rossa posata sul parabrezza rappresenta il paradosso più insormontabile: una dichiarazione d’amore verso il cinema fatta tramite un prodotto che rappresenta quanto ci sia di più distante dal cinema stesso

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