(ricordo che il mio blog è aperto al contributo di tutti: anche di quelli di cui non condivido le idee. però specifico che gli slogan non fanno parte della categoria "idee")
In questi giorni si sta facendo grande confusione relativamente a ciò che accade in Turchia. Una confusione terminologica e ideologica che nasce dall' abitudine a concepire tutto secondo coppie dicotomiche: "buoni" contro "cattivi", "islamisti" contro "laici" (o meglio "laicisti", ché sarebbe il termine ideale per completare la coppia di opposti), "autoritario" contro "democratico", "moderno" contro "non europeo" (sì, è sotteso). Questo, il lessico di questi giorni. Poche le analisi puntuali concepite al di fuori di questo rigido schematismo.
Poi c'è quella parola che fa paura e gola a tutti ma che nessuno si fa problemi a pronunciare: "fascismo". E' l'unica che in questi giorni non ha trovato un proprio corrispettivo ideale nelle coppie di opposti, a "democrazia" non credo ci abbiano pensato in molti e se lo han fatto eran troppo impegnati ad urlare "fascista" a destra e a manca per poterlo metabolizzare. "Fascista" é stata più che altro un' etichetta: "AKP fascista", "Erdoğan fascista", "polizia fascista". La Turchia, però, non ha mai conosciuto il fascismo per come si è storicamente determinato nelle nazioni europee: nel linguaggio politico turco, semmai, ricopre lo stesso ambito semantico di "autoritario" e quindi solo una parte di ciò che in Europa si intende per fascismo. Inutile dire che tutte le volte in cui si chiedono delucidazioni in merito all'uso del termine, oltre a sentirselo ripetere tautologicamente, non si ottiene granché.
Il motivo di tutto ciò, dalle coppie dicotomiche che semplificano l'analisi e accelerano la spending review lessico- cerebrale (sigh!) alle etichette, è da ricercarsi forse nel fatto che queste analisi provengono spesso e volentieri da realtà molto diverse da quella turca, da democrazie con storie diverse e abituate a dinamiche storiche. Era inevitabile per alcuni guardare a ciò che sta succedendo in questo momento con "occhi da occidentale" e vedere ad esempio nel divieto di baciarsi o consumare alcolici all'aperto una matrice "islamista", a vedere una primavera turca sullo stampo di quella araba che dovrebbe rendere la Turchia un Paese "moderno" e "simile" alle democrazie europee.
Era inevitabile riproporre la dicotomia "buoni vs cattivi" relativamente ai comportamenti e alle pratiche osservate dalla polizia turca in questi giorni, che pure si è caratterizzata per un uso scorretto ed esagerato di lacrimogeni e violenza. D'altra parte, però, ci son stati episodi di vandalismo ad opera di gruppi di provocatori: alcune sedi dell' AKP date alle fiamme, bancomat distrutti così come autobus, altri episodi di violenza con coltelli e oggetti da taglio.
Poche delle analisi, ancor meno quelle italiane, sono state in grado di capire l'anima dei turchi scesi in piazza in questi giorni. C'è una costante: non è la sigla dell AKP a ricorrere più spesso nelle voci e sugli striscioni dei manifestanti, ma il nome del premier. Tra uno sfottò e l'altro, da "Chemical Tayyip" a "Tayyip" la costante è la rabbia verso il PM, verso i suoi modi bruschi e la sua scarsa attitudine ad ascoltare i pareri altrui. In quel "Tayyip istifa!" c'è la protesta di tanti che vogliono un atteggiamento diverso da parte del loro leader, una maggiore apertura verso alcuni diritti che possano rendere la Turchia più simile all' Europa relativamente alla sessualità, alla libertà di gestione del proprio corpo (la discussione sull'aborto) e delle proprie abitudini (al centro della protesta anche le leggi e i divieti sugli alcolici). Non è in discussione l'AK Parti ma l'uomo politico, punto di vista che spesso non viene tenuto in considerazione e che forse sarebbe la chiave di lettura giusta per comprendere quanto sia necessaria in questo momento un'azione politica tesa a salvare quanto di buono Erdoğan ha fatto per la Turchia in questi anni, senza però dimenticare le richieste di maggiore libertà avanzate da una società civile turca che cresce e rivendica il suo ruolo come soggetto politico attivo. E nulla di questo c'entra con la laicità.
Aspettiamo il ritorno in Turchia del premier, previsto per giovedì, nella speranza dal confronto con i manifestanti si raggiunga un punto d'incontro si rimedi con ritardo a quella campagna di informazione sui suoi progetti per il Gezi Park che avrebbe dovuto promuovere prima avviare qualunque altro processo di "riqualificazione" dell'area urbana istanbuliota.
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