Oggi il nome del regista di corti, Ivano Sartori da Tabiano, dice ben poco al gran pubblico fidentino. Eppure quando un opera cinematografica di Sartori giunge tra noi, è come aprire il baule della nonna.
Tra i pizzi e i merletti, tolta la polvere del tempo, i ricordi del regista destano stupore e ammirazione tra i numerosi spettatori che riconoscendo nei fotogrammi l'amico o un volto noto, dandosi di gomito con il vicino di seggiola, ne compilano all'istante generalità, biografia e pettegolezzi, così facendo esaltando la potenza evocativa dell'immagine, musica compresa.
In quest'ultima fatica, andata in scena al primo buio nel cortile del Palazzo delle Orsoline, si ha come la rivelazione di un regista nuovo. Sebbene qua e là si scopra il gusto per le situazioni disperate in "te la do io la zebra" appaiono decine di personaggi in situazioni cariche di significati simbolici, ma figure reali, ambienti conosciuti e avvenimenti documentati che, di sicuro, riempiranno di stupore gli studiosi di psicologia collettiva, così come i dialettologi per l'uso del dialetto con il marchio di genuinità fidentina dell'illustre cittadina Claretta Ferrarini.
Insomma, per ridere si ride, ma alla fine arriva la nostalgia per le stagioni perdute e scadute che si arrampicano verso il futuro creando un certo non so che di metafisico che sfonda ogni impossibilità... lasciandoci un sapore di vita anteriore, e un odore di autodafè.
(cp)
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