Per Victor Jara l’arte non poteva scindersi dalla realtà e in Cile, la realtà era fatta di bambini malnutriti e contadini sfruttati, di minatori e operai senza diritti e sicurezza. Lui, quell’universo l’aveva conosciuto bene.
Era nato in umili condizioni, figlio di un contadino scontroso ed assente e di una cantante tradizionale che l’aveva iniziato alla musica popolare. Ma fu il teatro inizialmente ad assorbire la sua creatività ed energia; un teatro inteso in senso antropologico, come ricettacolo di ogni espressione della tradizione popolare. Così, dopo gli studi, Victor diventò uno dei principali animatori del rinnovamento e rinascimento della cultura popolare andina.
Nel corso degli anni sessanta, con i suoi progetti attraversò buona parte del Sud America e dell’Europa, particolarmente i paesi del blocco sovietico, oltre ad avere incarichi per enti attivi nella riscoperta delle tradizioni popolari. Contemporaneamente, dopo il giovanile interesse religioso che lo portò a un passo dal sacerdozio, in lui prese corpo una forte vocazione politica che sfociò nell’adesione al Partito comunista cileno e successivamente ad Unidad popular, la coalizione di comunisti e socialisti a sostegno della candidatura di Salvador Allende, nelle elezioni vittoriose del 1970.
Dalla metà degli anni sessanta, probabilmente anche in seguito all’incontro con la regina del canto popolare cileno, Violeta Parra, Victor prese a scrivere canzoni con maggiore continuità. Erano spaccati di povera gente, contadini, operai, minatori, dimenticati ed angariati dallo Stato, uomini e donne miseri, ma illuminati dalla dignità. Canzoni tra le più nobili della musica popolare di tutti i tempi, semplici, ma di una poesia cristallina, come El arado, El aparecido o la sua canzone perfetta,Te Recuerdo Amanda, love song d’impareggiabile leggerezza, perfino nell’estrema tragicità di quella strofa profetica:
Con lui che partì per la sierra
che non aveva fatto niente
che partì per la sierra
e in cinque minuti è morto ammazzato
suona la sirena, si torna al lavoro
molti non tornano, neanche Manuel.
Fu generosissimo nel sostenere il progetto politico di Allende, prodigandosi gratuitamente in concerti e altre manifestazioni di promozione e raccolta fondi. L’11 settembre 1973, mentre il presidente combatteva ancora nella Moneda in fiamme, gli sgherri di Pinochet erano già sulle sue tracce. Lo fermarono all’università di Santiago e lo portarono nella cittadella sportiva, allo Stadio Chile, il palazzetto che, unitamente allo Stadio National, venne trasformato in un lager per i militanti di sinistra.
Furono giorni di torture atroci e umiliazioni, prima di essere freddato, probabilmente il 16 settembre. Quando la moglie Joan andò a riprendersi il corpo lo trovò tumefatto e pieno di fori e bruciature, le ossa delle dita fracassate in spregio alla sua abilità di chitarrista, ma con un’espressione di sfida , di resistenza fino all’ultimo nel volto. In una tasca, il suo ultimo soffio in forma di poesia ,a testimoniare l’indicibile orrore.
L’ultimo aneddotto probabilmente è leggenda, ma mi piace pensarlo reale: poco prima di freddarlo, gli aguzzini gli chiesero, schernendolo, di cantare, se ne avesse avuto ancora voglia. Victor intonò l’inno di Unidad Popular, Venceremos, di cui aveva scritto il testo.