Regole del teaser tuesdays:
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- Attento a non fare spoiler!
- Riporta anche il titolo e l'autore così che i tuoi lettori possano aggiungere il libro alla loro wishlist se sono rimasti colpiti dall'estratto.
IL TEASER DI OGGICome ho detto, sto leggendo un libro adorabile che tutti gli amanti del genere dovrebbero avere nelle proprie librerie! Si tratta de "La fabbrica delle meraviglie", primo di una serie che mi auguro non venga interrotta.
«Questo devo proprio fartelo vedere!» Mi tirò per la manica e mi trovai a incespicare goffamente oltre il pavone, in mezzo a quella folla silenziosa. Mentre passavo vidi dei volti con sorrisi dipinti che mi ricordarono il piccolo parroco, poi mio zio si fermò bruscamente davanti a una bambina. Era seduta al pianoforte, con gli occhi chiusi; era a grandezza naturale anche se lo strumento era in miniatura. Le mani di cera erano posate con grazia sui tasti, i capelli castano rossicci ricadevano in riccioli e onde da un fiocco di raso azzurro. Mi chinai a guardarla. Sembrava che sognasse.
Mio zio si inginocchiò accanto a me e toccò qualcosa sotto il pianoforte. Sentii un clic, un debole ronzio e poi trasalii quando le palpebre della bambina si sollevarono lentamente. Le batté, piegò la testa, si sporse in avanti e le piccole mani si misero a suonare, toccando i tasti con le dita perfettamente a tempo. Dal pianoforte si levò un minuetto. Sedetti sul pavimento in una nuvola di lana pettinata, gli occhi fissi sulla bambina che annuiva e ondeggiava, rapita dallo scorrere della melodia. Mio zio sedette accanto a me.«È… è come un orologio?» bisbigliai. Lane, da qualche parte alle nostre spalle, emise un suono cupo, per ricordare le limitazioni alle domande, ma non potei trattenermi.
«Un orologio?» disse mio zio. «Oh, sì, sì. Come un orologio. Gli orologi sono uno spasso, bisognerebbe sempre caricarli. Ma i giocattoli sono molto meglio.»
Avevo sentito parlare di pupazzi mossi da meccanismi a orologeria, ma non avrei mai immaginato che una cosa del genere potesse essere così viva.
Mio zio si tirava con le mani le falde della giacca. «Sto pensando di rivelarti un segreto. Lo faccio? Non lo faccio? Ma sì, lo faccio!» si sporse verso il mio orecchio.
«Lei» disse a voce alta «si chiama Marianna.»
Guardai di nuovo i riccioli, i riflessi rossi sotto il fiocco di un azzurro molto strano… azzurro Caraibi. Allora questa bambina era la madre di mio zio, mia nonna, che non avevo mai visto. Le toccai i capelli per capire se erano veri (sapevo che lo erano, li avevo visti nel guardaroba la sera prima), ma sentii di nuovo un grugnito di avvertimento alle mie spalle. Mi rimisi la mano in grembo, mentre mio zio continuava a chiacchierare.
«Marianna dice che quando le persone se ne vanno è giusto ricordarle. Io dimentico troppo, sì, troppo facilmente. Ma Marianna sa come devono andare le cose, e io devo fare come dice lei, perciò ricordo. Non l’ho fatta troppo grande, così può suonare e suonare senza mai stancarsi. Le persone si stancano quando sono troppo grandi, e a Marianna piace suonare. A me piace…»
«Zio» lo interruppi «questo… l’hai fatto tu?»
Lui tirava la stoffa della giacca, scuotendo la testa. «No, questo giocattolo no. Non tutti i pezzi. Io faccio solo i calcoli e i disegni. Poi Lane prende i disegni e mi riporta i pezzi e io li metto insieme finché non sono come dovrebbero. Ma questo giocattolo non è uscito dalla mia testa, no. È venuto dalla testa di qualcun altro, anche se non mi hanno detto come.» La piccola figura di mia nonna da bambina fece una pausa e ricominciò la canzone, mentre il volto di mio zio s’illuminava. «Sto pensando di farti vedere con cosa sto giocando ora. Viene dalla mia testa, ogni singolo pezzettino. Lane? Lane! Facciamolo vedere alla mia nipotina!»
Fui aiutata a rialzarmi e ripartii a passo svelto in quello zoo, chiedendomi vagamente quanti dei giocattoli in mostra erano persone “andate via”. Zio Tulman cantilenava fra sé mentre mi tirava per la manica, un accompagnamento stonato alla dolcezza della musica di mia nonna.
«Prima il piccolo, poi il grande. Prima il piccolo, poi il grande… Aspetta!» Mi fermò con uno strattone. «Lane!»
Lane comparve come un’ombra della sera.
«A ritroso, Lane! Lo faremo a ritroso! Prima il grande, poi il piccolo! Prima il grande, poi il piccolo! Andiamo, andiamo!»
Guardai il volto silenzioso di Lane, così teso che mi domandai se non stesse male. Ma seguì mio zio, che correva verso il centro della sala come un bambino corre verso il portone della scuola.
Zio Tulman si fermò accanto a una statua, grande forse due volte e mezzo la mia altezza, distesa su un fianco, isolata, su una zona di pavimento nudo. Era un drago avvolto a spirale, come un serpente, attorno a una snella torre bianca, del genere di quelle che si vedono nei libri di fiabe. Capii anche il motivo per cui era a terra. La base della torre era stretta come un bastoncino appuntito e, all’altra estremità, era più piccola del palmo della mia mano. Non sarebbe mai potuta stare in piedi da sola. Dalla base della torre usciva un tubo di gomma che la collegava a un foro al centro di un piedistallo piatto e rotondo.
Mio zio mi lasciò andare e corse a una ruota di metallo attaccata al muro. Quando la girò, dal drago venne un sibilo simile a quello di un enorme bollitore. Un ticchettio più tenue svanì insieme al sibilo, finché nella stanza non si udì altro che il minuetto, la vibrazione sotto i piedi e uno strano ronzio. Lane tirò su un pochino la cima della torre. Pensai che volesse sollevarla, ma in quel momento la statua si sollevò da sola, lenta e maestosa e senza alcun intervento umano. Alzai la testa un centimetro dopo l’altro, guardandola sollevarsi finché la base si inserì perfettamente nel foro sul piedistallo. Infine, la torre rimase in un equilibrio impossibile su una punta di matita, mentre l’occhio rosso del drago mi guardava beffardo da almeno tre metri e mezzo di altezza.
Mio zio saltava su e giù battendo le mani, mentre dalle narici del drago usciva una nube di vapore che sovrastava il suono del pianoforte.
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ASPETTO I VOSTRI TEASER!