Anna Lombroso per il Simplicissimus
C’è l’ho, manca… Non mi dedicherò all’operazione aritmetica di cosa c’è e cosa manca nel pacchetto di misure contabili ispirate alla necessità non proprio virtuosa di fare cassa secondo i principi del principe di Salina: senza intervenire sull’edificio del bilancio dello Stato, senza una patrimoniale vera e non un’Ici rivisitata, senza imposte sulle attività finanziarie, che non sia l’irrisorio e irridente per noi, incremento del bollo di Stato sul conto titoli, senza l’abolizione dei privilegi primi tra tutti quelli della chiesa, senza il taglio delle spese militari, senza un passo deciso per la penalizzazione dei reati tributari.
In questi casi l’aritmetica è iniqua quanto la statistica, quanto il conteggio dei polli sulla tavola degli italiani, quanto la pressione fiscale che grava su persone, ma solo su alcune – già identificate e “provate” – e su cose, tutte, anche grazie all’aumento dell’aliquota Iva destinato a congelare i consumi. “Manca” il ritocco Irpef, ma “ce l’ho” l’addizionale Irpef delle regioni, che in ragione della sua estemporaneità, inevitabilmente si ripercuoterà a catena.
Il presidente del Consiglio ha detto che non si è voluto un fisco punitivo. Perbacco ma nemmeno noi, malgrado che in molti cominciamo a covare un sano istinto alla vendetta. Ma ci sarebbe bastato fosse giusto, che avesse adottato un’imposta sulle grandi ricchezze, che avesse proposto azioni “tecniche” – è il loro mestiere no? – per riequilibrare l’imposizione sulle rendite finanziarie (ferma al 20%) rispetto a quella sul lavoro (ormai a quota 36%). Che avesse colpito davvero l’evasione che divora rapacemente oltre 120 miliardi di euro. E ci avrebbe consolato che in mancanza di uguaglianza ci si accontentasse di tollerabile distribuzione del prelievo.
Non sono delusa da quello che manca, perché non mi ero illusa. Come molti non avevo dovuto fare uno sforzo dietrologico: il presidente Monti non aveva nascosto l’intento di agire sulla continuità con il carteggio Berlusconi-Ue, sulla “supremazia” dello spread, sull’ubbidienza alla vocazione forse suicida della Merkel, almeno per quanto riguarda l’euro.
E infatti a guardare i primi dati della borsa viene proprio da invitare l’emotiva ministra a piangere ancora, vista l’efficacia finanziaria delle sue lacrime. La mia banca mi ha tempestivamente chiamata per ritoccare il mutuo. Mentre l’idraulico invitato a fornirmi la fattura della riparazione della mia lavatrice, mi ha fatto osservare compiaciuto che malgrado il nuovo governo continua a convenire “metterse d’accordo e fa tutto in nero”. Nemmeno discuto della “riforma” del sistema pensionistico. Per quanto mi riguarda ho la ben avvelenata consolazione che essere meno imprevidente di quanto sono stata non avrebbe comportato grandi benefici. Mi addoloro semmai dell’uso improprio del termine riforma, ma non certo quanto mi duole pensare alle vittime.
Molti, dando dei disfattisti agli increduli, sollecitavano a aspettare il miracolo: quello dell’equità e quello degli investimenti per la crescita. I fiduciosi del trinomio austerità equità e crescita devono accontentarsi solo del nobile sacrificio, del rigore, della sobrietà che certo sarà meglio del bunga bunga ma non basta.
È che se, come pare anche a noi che non siamo tecnici e non frequentiamo le cancellerie, l’Europa è avviata su una china irreversibile che porta alla recessione, se il contagio è tale che l’euro al centro di una crisi globale, una manovra fondata sulla contrazione e il sacrificio per riempire le voragini incolmabili del debito pubblico ha solo l’effetto di un cerotto troppo piccolo per l’estensione e la profondità della ferita: la raccomandazione all`austerità generale incrementata dalla drammatizzazione della minaccia inflazionistica da parte della banca centrale fanno sì che ai Paesi indebitati sia impossibile sfuggire alla trappola del debito. Che conduce inevitabilmente al i default sul debito, alla corsa al ritiro dei depositi bancari e al crollo finanziario generale.
Non occorreva un governo tecnico per andare in rovina così “tecnicamente” , non serviva un governo di ragionieri se non usano la ragione, non avevamo bisogno di un governo di servitori della finanza per diventarne servitori anche noi.