Così come non mi aveva per nulla convinto il precedente Ted del 2012, esordio alla regia cinematografica di Seth MacFarlane (“papà” di serie animate quali I Griffin, Family Guy, ’99, e American Dad!, 2005), in egual modo devo ripetermi nei riguardi dell’inevitabile sequel, ineluttabilità da valutarsi essenzialmente nella logica di un lucroso arrembaggio ai botteghini mondiali, evidenziata inoltre dall’aver mantenuto identico team creativo, il citato MacFarlane dietro la macchina da presa e sceneggiatore, coadiuvato in tal ultimo caso da Alek Sulkin e Wellesley Wild. Confermato anche il sempre più rintronato Mark Wahlberg nei panni di John Bennet, quasi quarantenne con l’eterno complesso dell’amico immaginario, magicamente materializzatosi “alla Pinocchio” nelle forme di un Teddy Bear, il classico orsetto di peluche, ricevuto nel Natale del 1985 in dono dai suoi genitori. Proiezione tangibile di una mancata crescita, persa, più o meno definitivamente, nella placenta di un’eterna condizione adolescenziale alimentata a dovere dal liquido amniotico rappresentato da un realtà a misura di divano, il compare impagliato ne condivide le “aspirazioni”, fra canne, bevute e visioni di film/telefilm idonei a resettare il mondo a misura di anni ’80.
Ted
Nel probabile proposito di scrollarsi di dosso certi momenti melensi, grondanti melassa e giulebbe d’ordinanza propri del precedente capitolo, la solita voce narrante ci ricorda che il “vissero felici e contenti” esiste solo nel mondo delle fiabe, per cui dopo aver immortalato tale probabilità nel particolare evento del matrimonio fra Ted e la collega di supermarket Tamy-Linn (Jessica Barth), celebrato da Sam J. Jones/ Flash Gordon e testimone ovviamente John (reduce dal divorzio con Lori /Mila Kunis), ulteriormente visualizzata in uno spropositato numero da musical sui titoli di testa, si piomba, è trascorso un anno, nella rappresentazione di un menage matrimoniale a corrente alternata. Fra liti continue e accuse reciproche sulla difficoltà di mantenere in vita l’inconsueta unione, si prospetta come rimedio “classico”, suggerito dai più, mettere al mondo un figlio, possibilità accolta con entusiasmo da entrambi i coniugi. Peccato, però, che Ted sia sprovvisto dell’attrezzatura ludico/procreativa (come abbia mantenuto la promessa rivolta a Tamy-Linn il giorno della nozze di farle conoscere “50 sfumature di orso”, è, fortunatamente, evenienza affidata alla personale fantasia degli spettatori). Si rende dunque necessario il ricorso all’inseminazione artificiale, ovviamente ricorrendo ad un donatore speciale.
Jessica Barth e Ted
Falliti i tentativi con Sam J. Jones e il quarterback dei New England Patriots Tom Brady, toccherà all’amico del cuore dare una mano, anche considerando l’allenamento pressoché quotidiano relativo a donazioni volontarie, ma in odor di spreco.
Purtroppo si scoprirà che Tamy-Linn non è in grado di concepire, per cui rimane come ultima carta da giocare l’adozione, ma proprio qui verranno fuori problematiche ancora più gravi: per il Commonwealth del Massachusetts, infatti, Ted deficita dello status giuridico di persona, non è altro che un bene e, in quanto tale, destinato a perdere ogni prerogativa umana, a partire dal lavoro.
Occorrerà allora avviare una causa legale per la valenza dei diritti negati, con Ted e company sostenuti nella loro battaglia dall’avvocato “in erba” (sì, lo ammetto, battuta scontata) Samantha L. Jackson (Amanda Seyfred), prima, e dal principe del foro Patrick Meigan (Morgan Freeman) poi …
Puerile e sterile, mai propriamente sapido, nel consueto gioco di rimandi e citazioni, Ted 2 si sostanzia alla visione, almeno riporto la mia personale sensazione, come una versione live action di un qualsiasi episodio delle varie serie animate dirette da MacFarlane, rispecchiandone l’identica struttura nella messa in scena complessiva.
Mark Wahlberg , Ted
Ecco dunque una serie di episodi delinearsi come a sé stanti rispetto alla trama principale, in guisa di surreale intermezzo, oppure l’aggiunta di sottotesti volti a riproporre stancamente situazioni già viste (il rapimento di Ted da parte di Donny/Giovanni Ribisi), mentre il film sembra funzionare al meglio quando Ted, cui dà voce e movenze in motion capture lo stesso MacFarlane, agisce da solo (la guida notturna in auto sulle note di Mess Around, Ray Charles, come John Candy in Plains, Trains and Automobiles, Un biglietto in due, John Hughes, 1987) o comunque nell’ambito di un contesto dove il confronto fra reale e surreale si fa più suggestivo e simbolico (la sequenza all’interno del Comic- Con), dai contorni meno pedestri o forzati. Si apprezzano, all’interno dell’ameno guazzabuglio, un riuscito cammeo di Liam Neeson, le scene in tribunale, che strizzano l’occhio a più di un legal drama,con Morgan Freeman funzionale a rendere evidente quanto anche una marchetta possa essere espressione di stile, facendo praticamente il verso a se stesso nelle vesti di santo protettore dei diritti civili. A proposito di questi ultimi, rendere l’orsacchiotto una sorta di testimonial per la rivendicazione di ogni discriminazione mi sembra un’idea fin troppo tirata per il … peluche.
Amanda Seyfred, Wahlberg e Ted
Stancante nella sua reiterata proposizione di sberleffi mai autenticamente irriverenti e trasgressivi, Ted 2 precipita nell’ovvio della trasgressione programmata e del politicamente scorretto di facciata, senza alcuna convincente caratterizzazione, stilistica e di contenuti. Ancora una volta la sua struttura portante da classica commedia americana, con il leitmotiv di battute da cartoon “cattivo”, è tesa a rendere omaggio a molte produzioni degli anni’80, cinematografiche e non.
Le sequenze più riuscite evidenziano come, volendo, sarebbe stato possibile costruire un film più solido a livello di scrittura e regia, ma il solfeggio del cazzeggio, pardon volgarità ed involontario calembour, rende certo di più ed accontenta comunque quanti apprezzino un’ironia espressa in tal guisa.
Solletica, inoltre, e parecchio, la fantasia di coloro che propongono un confronto con Mel Brooks, dimenticandosi come questi, anche nelle sue realizzazioni meno riuscite e sbracate, proponesse una sceneggiatura ed una regia idonee a sostenere una qualche minima idea, offrendo senso compiuto alle varie gag, pur abbeverandosi alla fonte del volgare e del grossolano. Spero si resista alla tentazione di farne una saga, perché ogni ulteriore seguito rischierebbe, a mio avviso, di ripetere identici schemi, ora togliendo, ora aggiungendo, senza mai arrivare ad una realizzazione propriamente equilibrata. E poi, tanto per concludere adeguandomi una tantum al contesto, è risaputo come troppe saghe facciano male …