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@tedeschini, @pedroelrey, @lucasofri e @carlofelice e il Futuro del Giornalismo

Creato il 22 novembre 2012 da Marcodalpozzo @marcodalpozzo

@tedeschini, @pedroelrey, @lucasofri e @carlofelice e il Futuro del Giornalismo


Alle considerazioni sul Futuro del Giornalismo di Luca Conti, Luca De Biase e Marco Pratellesi, ne aggiungo qualche altro: Mario Tedeschini Lalli, PierLuca Santoro (il Giornalaio), Carlo Felice Dalla Pasqua e Luca Sofri. I primi tre si sono espressi sull'argomento di ritorno dall' evento Glocal12.


Nel mio reader, l' ultimo arrivato sull'argomento è stato Luca Sofri che esordisce così: Una ipotesi plausibile sul futuro del giornalismo che improvvisamente mi ha illuminato oggi è che continueremo a parlare per anni del futuro del giornalismo. Che non è neanche male, si imparano delle cose.
Lo riprendo alla fine.


Qui qualche passo del pensiero di Mario Tedeschini Lalli, Che resta del giornalismo (e dei giornalisti) nell'universo disintermediato. Interessante anche il seguito con le risposte ai dubbi espressi da Domenico Affinito.
L'unica cosa certa è che i problemi (e le opportunità) che si presentano non sono di natura "tecnologica", bensì squisitamente culturale. Non ci sono delle tecniche nuove da imparare, o meglio le tecniche nuove non serviranno a niente se non ci tufferemo in questa nuova cultura, dotandoci degli strumenti (anche tecnici) prima di tutto per sopravvivere in essa, poi comprenderla e infine - umilmente - tentare di descriverla.
Sì, è un universo "a gambe all'aria" rispetto a quello che siamo stati abituati ad abitare. Un universo dove i processi di disintermediazione hanno già completamente eliminato l'esclusiva con la quale fino a pochi anni fa noi giornalisti gestivamo gran parte dei processi informativi.

[...] D'altra parte occorre farsi un discorso molto realistico ogni volta che si invoca la "qualità" del lavoro professionale messo a rischio da questo universo "a gambe all'aria", ogni volta che giustamente invochiamo la assoluta necessità di un prodotto giornalistico professionale che aiuti i cittadini a fare scelte informate: quanta parte del giornalismo, anche buono, contenuto nei nostri pacchetti-giornale non è in qualche modo fungibile? Quanta parte è veramente essenziale per il funzionamento di una democrazia partecipata e non può essere fornita se non da professionisti indipendenti che ricercano,verificano, valutano e ordinano le informazioni in base a criteri di rilevanza basati sulla fiducia con il lettore?
Mi piacerebbe che qualche dottorando in materie storiche o comunicologiche tentasse un'analisi quantitativa di questo genere, nel frattempo la mia opinione spannometrica è che forse solo il cinque per cento del nostro giornalismo è veramente fondamentale per la democrazia e non è fungibile. Diciamo che mi sbaglio, raddoppiamo: il dieci per cento. Vuol dire che il 90% di quel che produciamo non è così essenziale o, comunque, non è essenziale che sia prodotto da NOI.
Il vero problema politico, professionale e industriale è quel cinque-dieci per cento: chi lo produrrà e con quali soldi? In realtà, nonostante le favole che ci siamo raccontati, il giornalismo "di qualità" non ha quasi mai pagato se stesso. I grandi reportages, le grandi inchieste, erano nel "bundle". Compravi il pacchetto (a un prezzo enormemente inferiore a quello di produzione, sussidiato dalla pubblicità) perché ti interessavano, per esempio, la cronaca nera o le mini-critiche dei film e portavi a casa anche il resto.


Questi, invece, [alcuni degli] Appunti da Glocal12 di PierLuca Santoro
E' proprio l'organizzazione del lavoro un nodo cruciale di questa fase dell'industria dell'informazione, dei giornali, che attualmente mantengono prevalentemente redazioni separate, con l'online sempre nella veste del "figlio povero" con scarse risorse dedicate sia economiche che umane.

Se, come accade, anche ai giornalisti, non viene offerto supporto, formazione, che li metta in condizione di conoscere la realtà attuale, i mezzi e gli strumenti idonei, se attraverso tempo e risorse dedicate a momenti di training on the job non vengono fornite ed affinate le competenze di utilizzo dei tool ampiamente disponibili e se, ancora, non vi è identificazione e chiarezza dei comportamenti da tenere è chiaro che l'evoluzione è lenta o nulla.


Qui gli strumenti per il giornalista digitale presentati da Carlo Felice Dalla Pasqua. ( via)


Luca Sofri, riflette sulle agenzie stampa:
Ma servono molto meno, quindi hanno dalla loro tre fattori: uno, i loro clienti sono pochi, lenti e abituati a quel servizio, che è molto costoso: e le consuetudini dei rapporti tra le agenzie e i loro clienti (giornali, media ma anche istituzioni) si corroderanno più lentamente di quelle tra i giornali e i lettori. Due, la concorrenza di internet e Twitter sulle cose italiane è già forte ma lascia ancora spazi non coperti (soprattutto nella politica, nel dichiarazionismo e sul fronte comunicati stampa) .Tre, la loro grande opportunità di ripensarsi e investire di più sulla possibilità di essere ottimi deejay: perché controllano la materia prima, producono i dischi, e fare le playlist è più facile e potenzialmente produce migliori risultati. E perché è quello che serve, soprattutto: non i lanci e gli aggiornamenti sulle bombe a Gaza che abbiamo già letto da ore in rete e con maggiore affidabilità e dettaglio. Ma la spiegazione di cosa succede prima, dopo e intorno a quei bombardamenti, per esempio.
Delle tre cose - la lentezza dei clienti a tagliare, la sopravvivenza di temi routinari, e l'opportunità del cambiare - io fossi le agenzie comincerei a investire sulla terza.


Il Giornalismo aiuta a fare delle scelte informate (Mario Tedeschini Lalli), almeno dovrebbe. Non so dire se il giornalismo e/o i giornalisti siano morti; di sicuro, perchè siano fatte scelte informate (ovvero, considerando lo schema a me tanto caro del WIKiD ( via), perchè si possa arrivare alla Saggezza/Benessere dei Cittadini di uno Stato), occorre distribuire dei contenuti di qualità e che tale distribuzione avvenga in un ecosistema informativo (fatto di infrastrutture e di persone) finanziato dallo Stato.

Credo di poter dire che gli strumenti di cui Pier Luca Santoro e Carlo Felice Dalla Pasqua parlano siano utili [anche] alle necessarie pratiche di "Marketing dell'Informazione e della Conoscenza"; delle pratiche che permettano ai Cittadini di scoprire (prima) ed essere parte integrante di (poi) quell'ecosistema; e, quindi, di essere nelle condizioni di fare scelte informate da un punto di vista tanto personale-fisico [la scelta di un candidato cui dare il voto alle elezioni] quanto personale-giuridico [la scelta di un determinato settore di investimento come membro di un'azienda].


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