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"E' il vecchio sogno dell'Auditel in diretta" dice Carlo Freccero. Per quanto in forma spuria e fonte di dibattiti. Vale qualcosa per la tv il successo cinguettante dei programmi? Ai pubblicitari, che pagano, interessa la marea di frasette in 140 caratteri una volta che poi al riscontro Auditel (in teoria tuttora unico metro per gli investimenti) i numeri sono bassi? Ancora Freccero: "Mi risulta che i pubblicitari siano molto attenti: quello è un pubblico sveglio, importante, attivo. In effetti ci si può vantare davvero dei tweet".
Ma qui finisce la festa e cominciano altre riflessioni. Per parafrasare uno slogan del tecnico della Roma Garcia, il punto è che Twitter ha rimesso la televisione al centro del villaggio. La modernità del tutto connesso, in tempo reale, il social che fa fiorire le Primavere arabe e si ribella a ogni potere rendendo la vita impossibile a ogni dirigismo, arriva alla normalità delle vite di tutti e che fa? Si siede sul divano, accende la tv e via smartphone o tablet commenta quello che vede, nel salottone virtuale collettivo.
Ed è qui che Freccero non ci sta, ma nemmeno un po': "Lunedì scorso, una serata molto interessante in tv, piena di offerte diverse, c'erano strepitose inchieste a Report, Formigli eccetera. Ho aperto Twitter ed erano in migliaia a commentare lo show di Gigi D'Alessio. Deprimente. Siamo tutti matti". Sì? "Twitter è diventata il coro greco della tv generalista, quella che credevamo sconfitta in favore del nuovo. Si stava diventando copernicani nel sistema televisivo e multimediale, avevo grandi speranze: e invece è tornato Tolomeo, la tv per tutti al centro di tutto". Inevitabile, no? "Un concorso di cose, o forse di colpe: primo, parlare della tv è molto facile. Secondo, ormai vale solo il presente, nessuno studia più, nessuno legge più, non c'è profondità. Terzo, siamo molto indietro in un processo che invece altrove, vedi la Francia, è avanti: ovvero la critica ai nuovi media, tutti quelli che iniziano, altrove, a interrogarsi sull'uso e abuso di Internet, mentre da noi siamo ancora in una fase di estasi". E guai a chi scarta o ignora, par di capire, venendo subito bollato di antimodernismo e lì a un dipresso, facendo scattare termini come reazionario, eccetera.
C'è un caso limite recente: una mattina il paese si svegliò e vide che la Concordia era tornata dritta. Com'era possibile che avesse funzionato tutto? Semplice, disse qualcuno - forse interessato: è stata una cosa di esperti e addetti ai lavori, nessuno ne sapeva niente, nessuno poteva twittarci sopra, prima, durante o dopo. Siccome poi era andata anche bene, niente sarcasmi possibili, tormentoni, tweet e retweet. Infatti della Concordia non importa più niente a nessuno e chissà dov'è, peraltro.
Invece il popolo degli "Indivanados" (esistono, chissà quanto ironici, anche), ovvero quelli seduti a guardare e commentare salaci - non lontani dalla leggendaria figura del vecchietto che rompe gli zebedei agli operai dei lavori in corso - ha bisogno di altro: e lo trova soprattutto nella vecchia tv. "Si è tornati a ruminare, ma proprio in senso letterale, la televisione, invece di volare altrove, scompaginare, credere in un futuro diverso" rincara Freccero. Il quale chiude facendo rabbrividire un po': "In fondo è una bolla anche questa. Finirà, come tutto. Ma stavolta per finire arriverà, temo, la realtà vera e propria, la crisi vera, qualche sconvolgimento sociale che richiamerà tutti all'ordine".
E qui arriva la speranza che anche la paura della Twitter-tv sia in fondo accademia, che ci stiamo preoccupando per poco, che in fondo anche così rimettiamo tutti la vecchia scatola (ex) al centro di tutto, in un loop che non può finire ma che, via tweet spiritosi e cagnara collettiva, è soprattutto divertente e pazienza per quello che significa o non significa.
Antonio Dipollinaper "la Repubblica"