Tema: Buzz Aldrin, secondo uomo ad aver calpestato il suolo lunare

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Sez. Secondo posto
Svolgimento
“Questo è un piccolo passo per un uomo, ma un grande balzo per l’umanità”.

Era il 20 Luglio 1969 e questa frase riecheggiò in ogni angolo del mondo.

Gentile e educato lo era stato sempre. Aveva anche un certo successo con le donne. Forse la sua faccia acqua e sapone, la divisa che indossava lo aiutavano. 
Faceva l’aviatore. Voleva diventare famoso.
Quando seppe che reclutavano astronauti non si tirò certo indietro e così dopo anni di studio e dopo essersi sottoposto alle più svariate prove fisiche in cui fu sparato, catapultato, mezzo annegato, centrifugato, diventò il pilota del LEM, il modulo lunare dell’Apollo 11, la prima missione spaziale che avrebbe portato l’uomo sulla luna.

Ed eccolo uscire dall’ hospitality con gli altri due membri dell’equipaggio. La folla in delirio e i giornalisti accreditati da tutto il mondo si accalcano per strappare le ultime dichiarazioni, ma il cordone della sicurezza è imponente. Adesso non possono parlare, sfilano nelle loro tute un po’ impacciati tenendo il casco sotto un braccio e distribuiscono saluti che sanno di benedizioni con la mano libera.

Con la bandiera a stelle e strisce e la scritta pilota ben cucita sul petto percorre fiero il tragitto che lo condurrà al piccolo ascensore con il quale raggiungerà l’abitacolo del razzo. Lui lo sa che sarà grazie alla sua abilità se si sbarcherà sulla luna. Del resto uno deve solo raccogliere pietre, l’altro non scenderà nemmeno. Sfigato, tanti chilometri per restarsene nella navicella. 
Questi pensieri azzerano la paura che andare verso l’ignoto, o l’incertezza di non fare più ritorno, avrebbe generato in tutti. Pagine e pagine saranno scritte, le TV di tutto il mondo faranno a gara per averlo come ospite. Sembra un Cristo Pantocratore, continua a benedire e sorridere.
Uno di loro affretta il passo e si china verso il collega che è avanti. Io vorrei stare vicino al finestrino, pare abbia sussurrato, mi piace vedere i paesaggi quando viaggio, e poi sono un po’ claustrofobico.
Poco male, in caso di guasto sarebbe stato il primo ad essere sbalzato fuori o il primo ad essere rapito dagli alieni. Gli altri avrebbero avuto il tempo di aggrapparsi a qualcosa e richiudere, e pace all’anima sua.
Ci vollero quattro giorni di viaggio.
Sulla Terra tutti davanti ai teleschermi. Qualcuno si ritrova a casa di parenti o amici. Nessuno vuole perdersi l’evento.
“Ha toccato. Ha toccato!” così Tito Stagno fa sussultare gli italiani.
E’ già notte, infatti, in Italia e un breve battibecco col collega Orlando in collegamento dagli U.S.A. che lo smentisce serve a svegliare chi si è un po’ assopito. Anticipa il reale allunaggio di circa un minuto, male interpretando una frase pronunciata proprio dal pilota che comunicava l’ingresso in orbita e il corretto allineamento.
A questo punto silenzio. Occhi sgranati su immagini sbiadite in bianco e nero. I retrorazzi del LEM alzano un gran polverone e piano lo fanno planare fino ad appoggiarsi al suolo. Nessuno fiata. Sulla scaletta un astronauta scende giù.
Ultimo gradino, un passettino e….un’orma, la prima!
E’ fatta. E’ il primo uomo sulla luna e il mondo ascolta la frase pronunciata a quasi 400mila chilometri di distanza.
A Cape Canaveral si applaude e ci si abbraccia, qualcuno piange.
Ma mentre la Terra è troppo impegnata ad ammirare i passi incerti del primo essere umano che passeggia sulla luna, nella cabina si sta consumando il dramma del pilota che è ancora al suo interno.

Provato dalle difficili manovre, si è un po’ goduto il momento scrocchiandosi le ossa del collo, mentre il collega claustrofobico è subito uscito fuori alla ricerca di una boccata d’aria richiudendo il portello che non vuole saperne di riaprirsi. 

Venti minuti di evoluzioni. Venti minuti il tempo in cui è il solo uomo presente sulla luna. 
Venti minuti di spallate e seggiolinate in cui ha pure provato ad usare come ariete il compagno sfigato, ma niente. 
Imprecazioni di ogni tipo e su ogni ordine e grado di parentela costringono la NASA a simulare un guasto e chiudere il collegamento radio. 
Sguardi biechi dall’oblò e mani che battono contro il vetro. E dita alzate, ora uno solo, ora una coppia ufficializzati come linguaggio spaziale. Anni e anni di prove. 
Venti minuti ci vollero per forzare il portello e venti sono i minuti che segnano la differenza agli occhi del mondo tra la grandezza di un eroe, pioniere conquistatore di una nuova frontiera e un buffo omino Michelin che appare sullo sfondo, per secondo, e saltellando finisce col riflettersi sulla visiera del suo casco.
A uno la consacrazione, la gloria, gli onori, all’altro la versione americana di "ballando con le stelle".

Michele Reale

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