Tema: Chever

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Federico non sapeva stare seduto tranquillo. Un disastro alla detta di tutti. Le strade di Roma erano una grossa balena sventrata.  
Avere un padre importante era sempre stato un problema. Lettere e poi legge, il dottorato era scivolato veloce nel suo cervello.Il dubbio rimaneva sempre: sono un talento o sono stato raccomandato.Essere inglesi in Italia, erano solo labbra troppo secche per un passaggio troppo bagnato.Giacca bianca, primo bottone sopra il collo slacciato, giacca di cammello, interrogava pazientemente i ragazzi poco più giovani di lui.Il padre puzzava di brandy un giorno poi l’altro, questo non ostacolava le pubblicazioni e i premi letterari. Un pessimo padre per un figlio così prestigioso.Le cene, gli aperitivi, i cardigan neri, i gemelli. Le botte sul naso. Il marmo venato di verde. Il circolo degli artisti. Le fighe anoressiche ai circoli dei lettori.Il denaro scarseggia nel tempo del pieno della gioventù. Una generazione di precari in giacca camper anni di studio buttati al vuoto.La ricerca per capire i sentimenti porta solo confusione negli sguardi fugaci all apple store. Il cervello arreda meglio di Renzo Piano.La cena di lavoro con il professore di diritto urbano: un disagio peggio di quella volta che suo padre aveva vomitato nel Vermont. Federico occhiali wayfare, barba incolta ma non troppa, cammina elegante legato ad un filo. Ogni passo un salto.
Odiavo tutti quel giorno. La formalità degli italiani: le cene a casa.Il professore che con boriosità affermava: meglio un figlio in meno e una pubblicazione in più.Federico non si spiegava come nell’ambiente accademico trasparivano le vite private.Era vero che quel giorno, a cena, si era bevuto da solo una bottiglia di champagne perché non reggeva il confronto con gli altri. Con discrezione lo spumante nel calice di vino. Agnello e patate. Il coltello taglia raffinato il boccone.Anelli di fumo sanciscono le piccole pause esistenziali: inadeguato eccede.Portatemi qualche cosa di congelato. Perdere la normalità subito adesso.Il wayfare non è il welfare. Se del capodanno non come mai sei finito a sniffare cocaina nello studio del tuo amico architetto. Vibrazioni cardiache passano oltre ogni apparenza.La timidezza non si può nascondere nell’orologio da taschino.Come ho fatto a tornare qui? lui è la spia.Una buca in più la zampa sbagliata giù diretto con il muso sull’asfalto.L’arte è il trionfo sul caos mi diceva mio padre ma se la mia vita è un caos chi trionfa? L’ordinarietà degli altri.Dovrei pensare più spesso alla passiflora. Mi sbarbo e divento accettabile.Non sembro un ventisettenne fuori moda, ancora con la giacca vellutata di mio padre e il bourbon sulle labbra.I ghiri bevono il whishy mentre io stendo.Fred come sei tornato a casa?Non so.Sempre diritto.
Irene Dorigotti

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