Svolgimento
Omaggio a Leon Bloy
Aveva riconosciuto la voce di sua sorella!Impossibile essersi sbagliati. Aveva persino riconosciuto la sua andatura al tremolio delle ombre nella navata, che ora pareva crollarle addosso con tutto il peso dei suoi archi e degli affreschi stinti e mai restaurati.Vivevano insieme, lei e la sorella, che non vedeva quasi nessuno e usciva di casa solo per recarsi alle funzioni religiose a differenza sua, così poco incline alla fede. Si era però abituata a venerarla con tutta l’anima: un esempio unico di rettitudine e bontà. Per quanto risalisse con la memoria al passato, non trovava alcuna ombra né macchia, nessuna bassezza, alcun sotterfugio nella sorella. Una vita triste, segnata dal lutto mai dismesso per il marito morto giovane in cantiere e dal ritorno nella casa dei genitori, da allora condivisa e diventata il loro rifugio dal mondo.C’era di che impazzire ora che quella frase, udita nel confessionale, faceva della donna un’assassina!Era un’assurdità troppo grande, assolutamente da non credersi, si ripeteva sudando e cercando aria con gli occhi sbarrati.Ma poi assassina di chi? Buon Dio! Non le risultavano morti avvelenati in famiglia. Suo marito fu vittima di un incidente sul lavoro e neppure avrebbe cercato di uccidere lei, che non si era mai ammalata, che non aveva mai avuto bisogno di tisane e poi sapeva quanto lei la adorasse. Ricordava la sua apprensione quando rincasava tardi e come fosse stata lei a star male quando, vittima di una delusione d’amore, sperimentò per la prima volta l’eccesso di alcool. Tornò a casa sospinta da orrore e da disperazione.Perché quella confessione?Subito la sorella premurosa le si fece incontro per abbracciarla:“Hai fatto tardi. Come sei pallida, non stai bene?““No sto bene“, rispose, “sto bene, ma soffro il caldo. E tu, come stai? Sarai uscita a prendere un po’ di fresco. Mi pare d’averti intravista di lontano per strada“.“Sì, sono uscita, sono stata a confessarmi. Cosa che credo tu non faccia da tempo“.Dunque non aveva sognato. Ultima speranza che le restava per non impazzire. Diventò ancora più pallida e la sorella allarmata si rivolse a lei con impeto: “Cos’hai? Tu stai soffrendo e nascondi la cosa proprio a me?“. La sorresse accompagnandola verso una poltrona. “Anche se non vuoi dirmi che hai, lascia che mi prenda cura di te. Siedi un attimo e poi ti accompagno a letto. Non mi importa se hai bevuto ancora o che. Non ti giudico, dovresti saperlo ormai. Ti preparerò qualcosa di leggero per cena. E se dovesse venirti la febbre ti preparerò una tisana…“A quella frase la donna stramazzò a terra, rossa e gonfia in viso.La sorella respirò a pieni polmoni, stringendo per la fatica i pugni alla gonna. Chiuse la recita di quella preoccupazione affettata con un teatrale segno di croce. Un gran sospiro accompagnò il tendersi della mano verso il telefono: “Non c’è bisogno d’altro. Corri ti prego. Ti aspetto”.La donna aveva un aneurisma all’ultimo stadio, e sua sorella un amante che non intendeva condividere la casa con altri.Gianluca Meis
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