Magazine Diario personale
Sez. Grandi Scrittori
Spero che voi lettori mi perdonerete se, leggendo, le mie parole potranno sembrarvi confuse e tremolanti, perché lo sono veramente in quanto io stesso che le scrivo sono ancora terrorizzato e tremo al solo pensiero di ricordare la successione di eventi che sto per narrarvi, terrificanti per me che ho vissuto in prima persona l’orrore di scoprirsi tomba del proprio figlio; ma sarebbe meglio cominciare dall’inizio piuttosto che dalla fine, e fare in fretta, perché non credo di avere molto tempo a disposizione.Vivevo insieme a mia moglie, la mia defunta moglie, nella piccola fattoria che mio padre aveva costruito con immensa fatica, durante la sua esistenza da contadino e allevatore di suini e galline: aveva gli animali più grandi di tutta la contea ed io passai la mia infanzia a giocare con loro, nel cortile di casa. Crescendo, abbandonai la fattoria di famiglia per trasferirmi insieme a mia moglie in un’altra casa più spaziosa; dopo qualche settimana, in attesa del nostro primo figlio,ella cominciò a mostrare i primi segni di cedimento mentale: la notte si svegliava urlando parole che mai conobbi in vita mia - anche se leggevo molto e conoscevo tre lingue diverse dalla nostra -, di giorno passava ore a preparare piatti con ogni genere di ingrediente che trovava in casa e una volta la sua pazzia arrivò anche alle sue mani, che tagliarono i suoi lunghi capelli neri con un coltello da cucina: li afferrò e non si fermò fino a quando gli ultimi centimetri tagliabili non toccarono il pavimento. Quando nacque il nostro primo figlio, sembrava che le sue crisi, inizialmente, fossero terminate, che lei avesse ripreso a essere la stessa donna che avevo sposato, e invece la mente umana non è così semplice, non risponde a nessun ordine, e i suoi crolli nervosi si acuirono, diventarono più frequenti, violenti e pericolosi. Un giorno,qualche mese dopo, uscii per risolvere delle questioni sulla vendita di una casa in paese, avevo trovato un secondo lavoro per pagare i numerosi debiti che le cure mediche avevano portato, e lei rimase in casa con il bambino. Quando tornai, per sera, cenammo insieme in silenzio, l’unico rumore era quello della carne che masticavamo, piccole e fragili ossa che si rompevano sotto il peso della mia fame. Povero me, che grande dolore il mio corpo e la mia mente si apprestavano a ricevere! Finita la cena, mia moglie uscì dalla stanza, aveva lavorato tutto il giorno in casa ed era molto stanca; mi alzai cercando di capire dove fosse, la chiamai ma lei non rispose; non era sul suo letto, né in bagno, neanche in giardino, dove lei passava momenti a viaggiare dentro la sua mente, a districare, da sé, la sua confusione. Nel camino trovai la pentola che aveva utilizzato per cuocere quella carne deliziosa, dio mi perdoni per averlo solo pensato, e allora sollevai il coperchio.
Voi, lettori, avrete sicuramente già capito cosa trovai quella sera dentro la pentola, ma l’ingenuità e il buon senso avevano fatto in modo che io non fossi tanto fortunato da capirlo per tempo: sono stato cresciuto in mezzo agli animali, ero abituato a vedere e mangiare la carne dei miei stessi compagni di giochi, mai avrei pensato di mangiare, un giorno, il mio stesso figlio! L’orrore per quello che avevo fatto mi riempì la gola e non riuscii a scappare da quella stanza, i miei piedi erano diventati pietra e non rispondevano più ai miei comandi, provai a trattenere la bocca ma il fiotto color del sangue venne fuori con l’impeto di un fiume in piena, e mi lasciò senza forze. Svenni. Mi ritrovai seduto sul divano davanti al camino acceso, le mie palpebre si sollevarono appena, in attesa di riprendermi completamente; sul fuoco non c’erano pentole che ribollivano, il pavimento era pulito, non vi era traccia di quello che era successo qualche ora o minuto prima.Con le poche forze rimaste mi alzai cercando mia moglie, pensando che si trattasse di un brutto sogno, un terribile incubo; la trovai distesa sul letto, stava dormendo e non sentì i miei passi che arrivavano dal piano inferiore, trascinavo i piedi. Non ero in me, era come se qualcuno muovesse il corpo al posto mio; l'incubo mi trascinò fino alla stanza dove la donna dormiva - chiedo pietà per la mia anima ma non ero cosciente di quello che stava succedendo in quel momento! -, presi un cuscino e lo poggiai delicatamente sulla sua testa, e allora strinsi, strinsi più forte che potevo, il tempo si dilatò e poi si accorciò, il sudore scese dalla mia fronte, arrivò alla mia bocca e poi cadde dal mento. Mia moglie non si oppose alla mia pressione, non si mosse, l’unico movimento fu un sussulto dei piedi prima di morire, ero furioso con lei e non controllavo le mie azioni, però era ciò che volevo, volevo ucciderla!Seppellii il cadavere nel giardino dietro la fattoria dei miei genitori: notte, buio, e la terra era bagnata sotto i miei piedi; non feci molta fatica a coprire la pelle bianca, i suoi occhi erano chiusi e la sua pazzia messa a dormire per sempre. Tornai a casa e cominciai a sentir male allo stomaco, un dolore che aumentava con il passare del tempo, pensai alla cena e a tutto quello che era successo. Mi distesi sul divano sperando che il dolore passasse velocemente, invece diventò sempre più forte! Un bagno caldo avrebbe placato le mie sofferenze – sicuramente, pensai, sono frutto della stanchezza e dell’orrore che i miei occhi avevano dovuto vedere quella sera -. La mia immagine riflessa allo specchio sembrava molto più vecchia del vero me: la barba cresciuta, gli occhi spenti, i capelli avevano assunto il colore delle nuvole cariche di pioggia. Sul mio stomaco notai delle macchie - dio! Raccontare questi fatti potrebbe sembrare da pazzi, ma io non sono pazzo! -, le macchie sembravano diventare sempre più scure, definite, terrificanti. Sul mio stomaco potevo benissimo distinguere il volto placido di un bambino, mio figlio! La piccola creatura di cui mi ero nutrito quella stessa sera, qualche ora prima, adesso stava provando a venir fuori dal mio corpo!Federico Orlando
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