Svolgimento
La discarica nei pressi della periferia della città era un posto pieno di anime. Giravano,ogni tanto si specchiavano negli occhi di chi incontravano e poi, vedendo un volto che non conoscevano, si voltavano e girovagavano da un'altra parte. Goran era un abitante di quella discarica, a tempo perso raccattava qua e là qualche cianfrusaglia e la faceva sua: la sua baracca era un museo.La vita di Goran passava lenta, ma comunque in modo piacevole, aveva il suo vino, il suo fuoco e il suo violino. Però ogni tanto quella vita tranquilla era rovinata dai volontari di qualche associazione benefica, soprattutto cristiani, che gli imponevano di lavarsi, di non mangiare porcherie per un pezzo e di andarci piano con il vino. Che si fottano, pensava Goran, non sistemeranno l’immondezzaio che hanno nell’anima con qualche buona azione da quattro soldi, e lasciate una brava persona a bere il suo vino in pace.
Era scesa la sera e Goran aveva acceso un fuocherello bruciando qualche pezzo di legno e il copertone di una vecchia macchina. Il fumo del copertone dicevano che fosse tossico e che uccidesse, ma cosa in questa cazzo di vita non uccide? Anche starsene fermi per un ora in casa senza fare niente, ti toglie un ora di vita. Quindi lasciatemi bruciare ciò che più mi piace, pensava Goran.
Il fuoco brillava e creava giochi di ombre e luce sulle lattine vuote, sui pezzi di vecchi lampadari e su uno sportello di una macchina appoggiato ad un sacco nero. Goran pose vicino a lui le sue quattro bottiglie di rosso, comprate con i soldi guadagnati in centro col suo violino, e cominciò a stappare la prima. Il vino è sempre dolce per chi trova riparo in esso, è il velo di una madre amorevole, è la nuvola estiva che copre il sole e porta un leggero venticello in mezzo all’afa. La prima bottiglia volò giù nella gola veloce come un bel sogno e Goran passò alla seconda e subito dopo alla terza. La sera aveva ceduto il posto alla notte e il fuoco brillava ancora di più. Goran lo alimentò con dell’altro legno, aveva finito i copertoni. Arrivò anche un gatto, uno dei numerosi randagi della discarica. Il gatto arrivò silenzioso e si sistemò vicino allo sportello della macchina, seduto come una sfinge e socchiudendo al massimo i suoi occhi verdi. Goran era arrivato a metà della terza bottiglia quando gli venne voglia di suonare il violino. Tese il crine dell’archetto, ci cosparse sopra un po’ di pece e cominciò a suonare la sua sonata. Dopo un paio di minuti di melodia, comparve lei, la sua sposa, la donna che amava da una vita. Era vestita nel modo delle belle zingare dell’est, una cuffia di seta le teneva stretti i capelli e una gonna leggera e lunga le incorniciava i piedi dentro a dei sandali bianchi. Lo guardò e gli sorrise, si scusò per il ritardo, ma gli disse che aveva tardato in giro. Goran le disse che non importava, che importava solo che danzasse per lui al suono del suo violino. E lei ballò. Lei danzò come ogni notte. Leggera e in tondo intorno al suo fuoco acceso bruciando un copertone. I suoi capelli neri si liberarono dalla cuffia e scesero lungo le sue spalle e cominciarono a girare anch’essi, per aria, al vento. I suoi piedi si muovevano veloci e ad ogni passaggio alzavano un leggero soffio di polvere e sabbia. Ballava come solo quelle del suo popolo sapevano fare, ogni volta lo seduceva come solo quelle del suo popolo sapevano fare.
Goran finì di suonare il violino e lo appoggiò per terra. Lei venne a posarsi leggera ai suoi piedi. Gli sorrise e si protese verso di lui, socchiudendo gli occhi, socchiudendo le labbra, socchiudendogli il cuore. Anche Goran si protese verso di lei per baciarla, ma quando fu a un centimetro dal suo desiderio, lei scomparve con tutta la sua magia. Allora Goran maledisse il mondo, maledisse il fuoco, il violino e il vino. Cominciò a buttare sassi e sabbia e cartacce sul fuoco, tirò un calcio allo sportello della macchina, fece scappar via il gatto e prendendo in mano una bottiglia di vino vuota la gettò per terra mandandola in mille pezzi. Ciascun dei pezzi cominciò a riflettere a modo suo il fuoco che ancora bruciava menefreghista.
Ma alla fine, il violinista zingaro si arrese, come ogni notte. La donna della sua vita dalla bella gonna leggera era a mille miglia da lui. Si gettò sull’ultima bottiglia di vino e capì che per anche quella notte era finita: gli servivano tre bottiglie per rievocarla dai pensieri e per darle vita. Una non gli bastava, una gli serviva solo per dimenticarla prima dell’ultimo pensiero e per prendere sonno sul suo materasso vicino al fuoco di una discarica che era troppo lontana dal suo cuore.
Andrea Roma