Avrei dovuto sospettare qualcosa quando sono stato obbligato a far uscire la Felicia la prima volta, dopo due settimane nella casa nuova: nella luce tenue che precede l’alba d’inverno improvvisò un balletto di capriole in mezzo alla strada che nemmeno Shakira potrebbe ripetere. I primi due o tre giorni hanno retto, andando e tornando tranquille; poi, immediatamente dopo Pasqua, usciamo tutti e tre una sera: io per il lavoro e le gatte per il loro giro d’ispezione nei dintorni. Non le ho mai più viste, ma sono tutte e due perfettamente in gradi di arrangiarsi, e di certo hanno scovato un’altra casa che dia loro degli orari più accettabili. Scoasso, lui no: è un gatto buono, affettuoso, tenero, minchione, ma incapace di affrontare il mondo esterno perché fifone come nessun altro mai; ha sempre avuto il terrore folle dell’abbandono e di conseguenza la necessità del contatto fisico o quanto meno visivo. Una sera ha pensato bene di scappare di casa: non so come, forse mi è sgusciato tra le gambe mentre andavo avanti e indietro annaffiando le piante, forse è solo riuscito a rovesciarsi dalla finestra sul ballatoio dalla quale si divertiva a fare il Giulietto alla Balcona, la comare pel di carota che seguiva incessantemente i movimenti dei vicini. Scomparso. Otto chili di gatto timido e codardo svaniti nel nulla. Cercato fino alle due di notte nei dintorni, ma senza risultato alcuno.Sei anni di battaglie per educarlo, di cure di ogni genere per farlo smettere di vomitare anche solo per lo spavento di un rumore inatteso in casa o di una sedia lasciata fuori posto: problema risolto con i fiori di Bach e tanta pazienza, grazie ad un veterinario splendido e a un'erborista gattara. Giorni e giorni di croccantini per insegnargli a usare la gattaiola per andare in poggiolo per servirsi dello stercarium; mesi di lotte perché smettesse di usare tutte le piante come stercarium, e una caterva di scorrerie nei vari cantieri stradali nei dintorni della mia ex casa per recuperare dei grossi ciottoli di fiume per riparare la terra delle piante dalle sue cacche testarde. Anni di porte dell’armadio sfrangiate con gli artigli e di cassetti sbilenchi perché lui deve aprire tutto per curiosare, e già che c’è cercare un nascondiglio. Anni di tende traforate, perché quando gioca con le sorelle non si rende conto che se le vede gialle o blu voleva dire che sono uno di qua e uno di là della tenda, così le prendeva a sberle lo stesso. Ettari di lenzuola e copripiumoni sberciati perché lui non salta sul letto come tutti gli altri gatti, si deve inerpicare come Messner sull’Himalaya, con tutta la sua gloriosa massa da locomotore. Anni di letto e lenzuola piene di peli non miei perché gli piace nascondersi sotto le coperte quando è solo. Anni in cui mi è anche capitato di lasciargli una abat-jour accesa quando uscivamo di sera perché si sentisse meno solo, come con i bambini. Gli regali perfino una delle tue borse perché l'ha requisita come cuccia. Prendi persino la decisione di portargli a casa una sorellina piccola per lenirgli la solitudine che lo stava intristendo sempre di più e lo rendeva inappetente. E tutto d’un tratto, bum… sparito. E resto solo, io con la piccola Gigliola pazza: non so se quando ho mollato il mio ex mi fosse presa così male.Una notte di tre settimane dopo non dormivo ancora del tutto, era circa l’una e mezza del mattino, e nel cuore del silenzio della notte sento uno gnaulare furioso di gatti in battaglia; lo strano è che lo strepito non veniva dal cortile o dalla strada, ma dal ballatoio davanti alla mia porta di casa. Curioso, mi alzo, accendo la luce esterna e vedo… vedo un metro quadro di faccione rosso che mi guarda mentre mastica: Scopax! Apro la porta e lui scappa; pazienza, tre settimane ad una scuola di sopravvivenza non ti sono servite a niente quanto a coraggio, ma va bene lo stesso. Corro a mettermi i pantaloni, non ho l'abitudine di tenere le chiavi di casa appese al collo e mancava solo che mi chiudessi fuori di casa nudo correndo dietro a un gatto ebete, scendo e lo chiamo. Intercetto un "meo" dapprima flebile, poi via via in crescendo fino a diventare stentoreo: viene dalla siepe dall’altra parte della strada. Mi ci accuccio davanti sempre chiamandolo, e vedo spuntare un nasetto rosa, poi una testa più grossa del mio pugno, poi con pazienza tutto il gatto. Dimagrito solo leggermente, col musetto un po' sporco, ma sempre lui! Sano, tranquillo, con qualche erba appiccicata al pelo. Prendilo in braccio, grattagli il trippone, portalo su, dagli da mangiare, dormici assieme: tutto come se non fosse successo nulla. Lui non si fila di pezza la piccola pazza, vuole solo il mio letto, i cassetti, le ante dell'armadio e il mio zaino. Piccino, tesoro dello zio, prova solo a farmi un’altra volta una cosa del genere e ti metto in forno con le patatine, così ci giochi un po’ mentre cuoci!MM
Avrei dovuto sospettare qualcosa quando sono stato obbligato a far uscire la Felicia la prima volta, dopo due settimane nella casa nuova: nella luce tenue che precede l’alba d’inverno improvvisò un balletto di capriole in mezzo alla strada che nemmeno Shakira potrebbe ripetere. I primi due o tre giorni hanno retto, andando e tornando tranquille; poi, immediatamente dopo Pasqua, usciamo tutti e tre una sera: io per il lavoro e le gatte per il loro giro d’ispezione nei dintorni. Non le ho mai più viste, ma sono tutte e due perfettamente in gradi di arrangiarsi, e di certo hanno scovato un’altra casa che dia loro degli orari più accettabili. Scoasso, lui no: è un gatto buono, affettuoso, tenero, minchione, ma incapace di affrontare il mondo esterno perché fifone come nessun altro mai; ha sempre avuto il terrore folle dell’abbandono e di conseguenza la necessità del contatto fisico o quanto meno visivo. Una sera ha pensato bene di scappare di casa: non so come, forse mi è sgusciato tra le gambe mentre andavo avanti e indietro annaffiando le piante, forse è solo riuscito a rovesciarsi dalla finestra sul ballatoio dalla quale si divertiva a fare il Giulietto alla Balcona, la comare pel di carota che seguiva incessantemente i movimenti dei vicini. Scomparso. Otto chili di gatto timido e codardo svaniti nel nulla. Cercato fino alle due di notte nei dintorni, ma senza risultato alcuno.Sei anni di battaglie per educarlo, di cure di ogni genere per farlo smettere di vomitare anche solo per lo spavento di un rumore inatteso in casa o di una sedia lasciata fuori posto: problema risolto con i fiori di Bach e tanta pazienza, grazie ad un veterinario splendido e a un'erborista gattara. Giorni e giorni di croccantini per insegnargli a usare la gattaiola per andare in poggiolo per servirsi dello stercarium; mesi di lotte perché smettesse di usare tutte le piante come stercarium, e una caterva di scorrerie nei vari cantieri stradali nei dintorni della mia ex casa per recuperare dei grossi ciottoli di fiume per riparare la terra delle piante dalle sue cacche testarde. Anni di porte dell’armadio sfrangiate con gli artigli e di cassetti sbilenchi perché lui deve aprire tutto per curiosare, e già che c’è cercare un nascondiglio. Anni di tende traforate, perché quando gioca con le sorelle non si rende conto che se le vede gialle o blu voleva dire che sono uno di qua e uno di là della tenda, così le prendeva a sberle lo stesso. Ettari di lenzuola e copripiumoni sberciati perché lui non salta sul letto come tutti gli altri gatti, si deve inerpicare come Messner sull’Himalaya, con tutta la sua gloriosa massa da locomotore. Anni di letto e lenzuola piene di peli non miei perché gli piace nascondersi sotto le coperte quando è solo. Anni in cui mi è anche capitato di lasciargli una abat-jour accesa quando uscivamo di sera perché si sentisse meno solo, come con i bambini. Gli regali perfino una delle tue borse perché l'ha requisita come cuccia. Prendi persino la decisione di portargli a casa una sorellina piccola per lenirgli la solitudine che lo stava intristendo sempre di più e lo rendeva inappetente. E tutto d’un tratto, bum… sparito. E resto solo, io con la piccola Gigliola pazza: non so se quando ho mollato il mio ex mi fosse presa così male.Una notte di tre settimane dopo non dormivo ancora del tutto, era circa l’una e mezza del mattino, e nel cuore del silenzio della notte sento uno gnaulare furioso di gatti in battaglia; lo strano è che lo strepito non veniva dal cortile o dalla strada, ma dal ballatoio davanti alla mia porta di casa. Curioso, mi alzo, accendo la luce esterna e vedo… vedo un metro quadro di faccione rosso che mi guarda mentre mastica: Scopax! Apro la porta e lui scappa; pazienza, tre settimane ad una scuola di sopravvivenza non ti sono servite a niente quanto a coraggio, ma va bene lo stesso. Corro a mettermi i pantaloni, non ho l'abitudine di tenere le chiavi di casa appese al collo e mancava solo che mi chiudessi fuori di casa nudo correndo dietro a un gatto ebete, scendo e lo chiamo. Intercetto un "meo" dapprima flebile, poi via via in crescendo fino a diventare stentoreo: viene dalla siepe dall’altra parte della strada. Mi ci accuccio davanti sempre chiamandolo, e vedo spuntare un nasetto rosa, poi una testa più grossa del mio pugno, poi con pazienza tutto il gatto. Dimagrito solo leggermente, col musetto un po' sporco, ma sempre lui! Sano, tranquillo, con qualche erba appiccicata al pelo. Prendilo in braccio, grattagli il trippone, portalo su, dagli da mangiare, dormici assieme: tutto come se non fosse successo nulla. Lui non si fila di pezza la piccola pazza, vuole solo il mio letto, i cassetti, le ante dell'armadio e il mio zaino. Piccino, tesoro dello zio, prova solo a farmi un’altra volta una cosa del genere e ti metto in forno con le patatine, così ci giochi un po’ mentre cuoci!MM
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