SvolgimentoClaudia andava raramente nella casa grigio malattia, dove gli anziani si consumavano come fiori recisi succhiando avidamente quell’ultimo dito d’acqua ingiallita che puzzava come l’alito della loro vecchiaia.Lei era troppo bella, alta, voluttuosa, snella, mano in guanto di cremisi velluto. La guardavi e se non eri troppo giovane, pensavi a Gilda la rossa se lo eri i pensieri erano decisamente altri. Sicuramente sporchi.Lei si guardava attorno, ma non ti vedeva mai. Che noia quel luogo dove i tacchi restavano prigionieri tra le fughe dei mattoni in quel rettangolo di giardino all’esterno del grande edificio. Le prigioni non facevano per lei. La scelta era caduta su una casa di riposo un po’ fuori mano, ma meno crudele di altre che sarebbe stato più opportuno chiamare case di deposito e un mattino d’inganno aveva condotto la donna all’ultima stazione, al binario morto. Avevano stretto un patto o meglio Claudia si era piegata alla volontà della vecchia. Claudia era un turbine, la sua giovinezza quasi un affronto alla vecchiaia. L’altra era stata inflessibile come sempre. - “Non voglio essere un peso per te. Liberati di me prima d’odiarmi.” Non lasciare che cada su di me la pena e la tua frustrazione. Era questo un frutto inatteso e amarissimo.Da mesi scacciava il pensiero di una visita. La situazione era precipitata. Non ci stava più del tutto con la testa, adesso faticava pure a riconoscerla. Quando la vedeva, le tirava contro qualsiasi cosa urlando: “Togliete quello specchio è infedele.” Poi a tratti la osservava sorridendo e diceva all’infermiera: “Come sono bella oggi.”I momenti di lucidità erano sempre più rari, piccoli squarci in una tela divorata dal tarlo della demenza. Buchi sempre più grandi accompagnati da violenza e furia sempre meno controllabili.
Claudia odiava piangere, il trucco colorava le sue lacrime di nero sconforto e le scavava sul viso improbabili rughe, soffocava, non riusciva a muoversi. Rimaneva come una bella statua da giardino mentre la malerba le saliva addosso. Il pianto bruciava la pelle e i ricordi.La telefonata aveva rotto l’equilibrio di un tiepido sogno. Le parole secche come foglie su marciapiedi ottobrini: “Venga. Se n’è andata nel sonno”.Claudia aveva percorso la strada lentamente con la certezza della morte che mette fine a ogni urgenza e colora la vita di bianco sepolcro. “Questa è per lei. La signora appena arrivata, ci aveva consegnato questa busta da darle soltanto quando fosse deceduta.”Claudia uscì si sedette sulla panchina, dove la trovava profumata e ben pettinata a ogni visita. Tolse lentamente le scarpe, saggiò con la punta dei piedi l’erba umida di rugiada. Lesse d’un fiato come usava sempre fare, poi rilesse ancora e si accorse che una lacrima colore del dolore aveva sbiadito la grafia bellissima e ingrandito i contorni delle lettere minute.“Tieni a bada questo fuoco e il tuo sguardo non ho più bisogno che m’insegni come vivere. Si lo so, sono feroci le rughe, ma nessuno te le cala dall’alto come pazienti ragni sospesi. Appaiono al tuo risveglio e non basta un soffio a spazzarle via. Sono fili sottili, caparbi. Le mie palpebre adesso sono chiuse è crollato l’ultimo sostegno. Tu giovane donna hai negli occhi la fulminea condanna per la mia lentezza, ma sappi che è una conquista e nella tua incompiuta consapevolezza mentre avviti sulle dita capelli lucenti, stai già mutando. Grazie per aver rispettato il nostro patto, ti lascio andare con un bacio leggero quasi non ti accorgerai di camminare da sola. Io ho perdonato la tua giovinezza solo perché sono tua madre.”Adele Musso