A Venezia gente strana, arrivata da tante altre città, anche lontane, come Roma, si ritrova e comincia a leggere e a suonare. Gente che si presenta magari per la prima volta, ma si conosce da mesi. E che vengano da Vicenza, Ipazia, Padova, Despina, Udine o Zora, importa poco. Annuiscono mentre un giovane legge quello che pensava Kublai Kan, nella lingua in cui presumibilmente pensava: il cinese. Ma se lo fanno è perchè a Venezia si parla cinese. Così come l'inglese, lo spagnolo, il tedesco o il friulano. Delle cupole sospese sanno tutto. E degli intricati percorsi, in cui si perdono donne sognate, conoscono ogni mattone. Le città sono invisibili solo per chi non le sa guardare davvero. Magari evocate da uno che legge con la laringite o da chi teme di sbagliare un accento. In fila sparsa si passano poi i ponti, si conquista un pozzo mentre piove, e si finisce brindando con del bianco in osteria. Venezia è anche e soprattutto di chi sa scambiarsi un sorriso e un indirizzo mail. Gli archi e le pietre cambiano nome in ogni lingua, ma in ciascuna servono sempre allo stesso scopo: unire delle sponde, spalancare porte, sorreggere un camino a cui scaldarsi anche il cuore.
Gianluca Meis
Volevo raccontare un incontri di pazzi che su twitter, invece di prendere in giro il vip di turno, o raccontare solo i fatti propri, prendono un libro e, pagina dopo pagina, lo "riscrivono" e lo "raccontano" rendendolo ancora di più "proprio" non solo per la gioia di averlo letto ma per averlo condiviso. Poi son finito per "riscrivere" anch'io (umilmente e non certo con la stessa maestria dell'inarrivabile) un resoconto di Marco Polo al grande Kan, proprio come nelle "Città Invisibili". Piccolo omaggio alla gioia d'aver trascorso un pomeriggio insieme con Italo Calvino.Un grazie sentito a Cristina, Maristella, Chiara, Riccardo, Lucia, Paola, Bea, Mara, Chiara, il Mattobagatto e tutti gli altri!