Ciao, questa lettera non l’aspettavi di sicuro, si dice sempre così no, ma che importa essere banali, stasera mi è proprio venuta voglia di scrivertela.Non te la firmo neppure questa lettera, sono certa che capirai chi sono, o lo spero soltanto, chissà. Quel noioso di Filippo mi ripete sempre che sono troppo criptica, tanto varrebbe quindi cominciare in modo ancora più banale con il solito Carissi – bah, non riesco nemmeno a finirlo di scrivere. Al diavolo Filippo, volevo parlare di me e te.Quanto abbiamo giocato F., tu e io insieme? Ci siamo divertiti da morire, ricordi, il piano terra di casa tua, tutto da costruire ancora, con quegli ambienti giganteschi, tutto quel cemento armato, quella serranda immensa che in tre non ce la facevamo a spostarla di un millimetro, eravamo così esili. Ricordi le coreografie? I balletti? Eravamo tre pazzi, ricordo solo noi tre e nessun altro, a parte i giorni in cui si rimaneva solo in due, tu e io, e i giochi diventavano improvvisamente diversi, quanti anni avevamo? Undici, dodici? Comunque, quello che mi è tornato in mente oggi, è un’immagine indelebile, come di un quadro familiare, la casetta che avevamo messo su, con tutte le sue cose: il tavolo, la credenza, persino i muri – ricordi i fili per stendere pieni di lenzuola lasciate ad asciugare al coperto d’inverno che diventavano le nostre pareti? – i sacchi di cemento di quella tua casa immensa ancora da finire nel piano di sotto, e l’immagine è lì, dietro quel tavolo di tavole nude e consunte, e io, seduta in braccio a te, me li ricordo sai, i tuoi baci.
Sono grande adesso, e pure tu.Sono sposata, figli meravigliosi e pure un marito meraviglioso che mi rende felice, anche lui - in modo meraviglioso.Però, anche tu, avevi un modo di fare così sicuro quando giocavi, la parte del marito meraviglioso era la tua.Fingevamo di amarci, erano queste le parti della nostra recita a due con tanto di copione, nessuno ha mai finto bene quanto te, giocando, nel dirmi “ti amo”. Ti vedo spesso con le tue amiche, non ho capito mai, neanche una volta, quale potesse essere la tua fidanzata, sono sicura che sei un’impenitente spaccacuori.Qualche volta, raramente, ci è capitato di fermarci a parlare insieme, scambiare due parole, e tu, sei sempre tu, la tua ironia, il tuo fare istrionico, la tua voce, è la stessa che giocava con me, col suo modo strascicato di uscire dalla bocca, quel metterci troppa saliva, e mentre lo dico, adesso, ripenso alle canzoni che ascoltavamo e cantavamo a squarciagola su soffitte improbabili, ascoltando l’ellepì Burattino senza fili, le tende, le quinte e i sipari su noi tre.Anche lui, F., ogni tanto lo vedo, sai bene che strada ha seguito, eravamo proprio uno strano trio noi tre, ricordi i bastoni da palcoscenico per fare Fred Astaire e Ginger Rogers, tu chi eri? Il regista? Credo di sì, perché di me e lui ricordo perfettamente il balletto equilibrista, tu, invece, eri fuori scena.Quando abbiamo smesso di giocare? Forse quando io sono cresciuta un po’ di più?Sabato ti ho rivisto, mi hai chiamato col tuo fare sicuro, una cosa da fare, un argomento contingente, abbiamo scherzato come sempre, poi, ho sentito il tuo braccio sulle spalle, la tua mano che stringeva il mio braccio, e ridevi, come un tempo.No. Non sei cambiata.
Grilletto Salterino