Luigi Pirandello, nobel italiano per la letteratura, fu autore di romanzi, racconti e opere teatrali all’interno dei primi del Novecento.
I temi principali della vastissima produzione pirandelliana sono: il contrasto tra apparenza e realtà, il relativismo (esistono tante verità quanti sono coloro che credono di possederla), l’assurdità della condizione umana, data dal contrasto tra “forma” e “vita”.
La realtà è per l’autore un meschino disinganno, di fronte a cui l’uomo è impotente e da il sentimento del contrario (Da tale percezione scaturisce l’umorismo, il senso del comico, che distrugge ogni residua illusione umana, perfino quella di conoscere noi stessi. L’uomo ha bisogno di calarsi in una “forma”, una condizione sociale che spesso, tuttavia, contrasta con la sua anima. La relatività delle vicende umane condanna l’uomo all’infelicità eterna e al pessimismo esistenziale.. L’opera artistica, letteraria, teatrale ha la funzione di smascherare il procedimento con cui l’autore fissa in forme immutevoli lo svolgersi dell’esistenza (per es. l’opera teatrale i “Sei personaggi in cerca di autore” rappresenta un dramma da portare a termine nel suo stesso svolgersi.
Secondo Pirandello la realtà non è mai statica, ma sempre dinamica ed interpretabile, per cui si assiste ad un continuo conflitto tra le diverse interpretazioni. È questa la “maschera” che imprigiona la “vita”, una “forma” che ci condanna alla solitudine perché la nostra visione non coincide mai con quella degli altri. Da qui deriva il tema fondamentale dell’incomunicabilità umana, guardata da Pirandello con pietà e partecipazione dolorosa all’assurdo del vivere. La presa di coscienza dell’inconsistenza dell’identità, che spesso scaturisce da un particolare apparentemente irrilevante, suscita nei personaggi pirandelliani un sentimento di smarrimento e dolore. In primo luogo, provano angoscia ed orrore, seguiti dalla solitudine, quando si accorgono di non essere nessuno; in secondo luogo soffrono per essere fissati dagli altri in forme in cui non si possono riconoscere.
Il pessimismo pirandelliano è totale: l’unica via di relativa salvezza che viene data ai suoi eroi è la fuga nell’irrazionale, oppure nella follia, che è lo strumento di contestazione per eccellenza delle forme fasulle della vita sociale. La stessa precarietà della vita è di per sé ingiusta per Pirandello. L’amore rientra nel novero delle illusioni e il male, che si compie più o meno consapevolmente, accentua il sentimento di colpa della condizione umana. Ogni forma in cui si svolge il vivere sociale è una trappola mortale, ogni maschera che indossiamo e ogni convenzione sociale, perfino l’istituzione del matrimonio.
Se esaminiamo le Novelle per un anno, notiamo che si parte da una situazione di quotidianità in cui irrompe, improvviso, l’evento critico che, generando una riflessione sulla condizione del protagonista, lo conduce alla alienazione e alla inevitabile esclusione dalla vita sociale. Il personaggio diventa un inetto, contrapposto al suo doppio, al suo personaggio-ombra. La “rivelazione finale” della novella rovescia “umoristicamente” la condizione di partenza del protagonista. L’uomo è, secondo Pirandello, “uno, nessuno e centomila”, ovvero ciò che lui crede di essere, ciò che non riesce ad essere e ciò che potenzialmente diventa attraverso lo sguardo altrui.
Lo stile di Pirandello è il rifiuto della sperimentazione linguistica che lo induce alla ricerca di un linguaggio medio che si attenga alle cose. La tecnica narrativa teatrale si rinnoverà con un io-narratore che diventa io-attore attraverso l’uso del monologo interiore