Svolgimento
Ci si lavava tutti la mattina del 25, potete immaginare la fila e le discussioni che si scatenavano davanti quella porta la mattina del Santo Natale! Il santo bambinello appena nato voleva scappare dalla culla del presepe, ma i fedeli cowboys lo bloccavano al lazzo.Già settimane prima si preparava il menù con estrema cura ed attenzione. Nulla doveva mancare. Baccalà in tutte le soluzioni possibili. Frutti di mare. Pesci di ogni specie, crostacei mai visti, piovre giganti. Infinite insalate di rinforzo a rinforzare chissà poi mai che cosa? In cucina era una catena di montaggio sofisticatissima. Chi lavava, chi sviscerava, chi friggeva, chi infornava, chi adornava, chi già mangiava. Un girone dantesco pregno di fumi vapori e puzzo di olio bruciato. Meraviglioso. Io godevo a far tutto. Mi piaceva da pazzi. Specialmente infarinare il pesce da friggere, Ero un vero talento. Infarinavo qualsiasi cosa mi passasse tra le mani. Rapido. Fulmineo. Quando la catena si fermava andavo immediatamente in astinenza e allora infarinavo anche soldatini, macchinine, pezzi di costruzioni! Sbavante in overdose i grandi mi ficcavano una pastetella in bocca e mi placavo felice davanti alla tv Telefunken in bianco e nero. Trasmettevano sempre qualche bel cartoon natalizio prima della fatidica cena.Immancabilmente la sera della vigilia mio padre, allora in polizia, rientrava sempre tardi dal lavoro, e di solito portava sempre qualcosa d’inaspettato. Panettoni improponibili, pandori giganti, cioccolate ucraine. Una volta portò uno scoglio intero con ancora le cozze attaccate. Un'altra volta una busta piena di botti, sequestrate chissà dove, che sparammo per tutta la notte manco fosse Piedigrotta. Una volta si festeggiava con i botti anche a Natale. La cosa buffa è che il vituperato Babbo Natale, ora tanto in auge, era completamente snobbato. Noi giovani eravamo adoratori della Befana. Era lei che elargiva dolci e doni a man bassa. Mettevamo i calzettoni puzzolenti appesi alla chiave della porta dell’armadio la sera prima, per poi vederli sostituti con calze abnormi piene di leccornie, e cosa più importante, il super regalo poggiato sul letto. Pura magia. Per noi giovani Babbo Natale era un travestito obeso con la barba bianca, del tutto inutile, visto che ci portava solo regalini scemi e non richiesti. Bruttissima persona. Viva la dea Befana.Ma la cosa che segnava il momento più bello della vigilia di natale era il post cena. Quando completamente obnubilati da vino e dalle portate pantagrueliche si preparava la tavolata per la odiata tombola prima della fatidica mezzanotte. Venivano tutti. Parenti e vicini. Era un casino tale che manco in un derby infuocato in curva sud.Si creavano però due netti schieramenti. Gli anziani che amavano la tombola. I giovani che odiavano la tombola e preferivano ovviamente i giochi di carte, molto più dinamici e divertenti. Ovviamente l’avevano vinta gli anziani. Noi giovani carogne li odiavamo e la fatale scelta ci obbligava ad un sottilissimo perfido boicottaggio.S’iniziava con la distribuzione di logore cartelle cartonate e svariate tonnellate di mandarini che servivano a segnare con le bucce spezzettate le caselle dei numeri estratti. Il cartellone di solito lo gestiva o il capofamiglia o lo spiritoso di turno che diceva inutilmente di conoscere la smorfia a menadito. Era un sottilissimo stillicidio. Il nostro intento era quello di rompere le scatole a tutti i costi. Volete la tombola e allora soffrirete le pene dell’inferno.Il primo boicottaggio era quello di non far capire mai qual’era il numero estratto. Nella bolgia totale, considerato il numero dei partecipanti, era facilissimo.Nel caso uscisse un 37 facevamo in modo che si sentisse solo il finale...e noi giovani carogne ripetevamo...”sessantasette”...gli anziani chiedevano “cos’è uscito?”...noi...”il ventisette!”...con una singola estrazione venivano fuori tre o quattro numeri.Secondo boicottaggio era la finta smorfia. Le inventavamo sul momento. Del tipo... “è fuori il trentadue”! urlava il tombolaro...e noi giovani carogne...”a cicogna!”...gli anziani “cos’è uscito?..noi in coro ...“la cicogna!”...”è che numero è?”...noi giovani carogne...”il sessantadue!”...e così via.Un inferno senza fine. Uscivano fuori ambi, terni, quaterne...inesistenti! Si ripeteva all’infinito la rilettura dei numeri usciti. Tutto questo tra nonni ronfanti, bimbi sbraitanti, cani ululanti e noi giovani scoglionati a fare un bordello senza sosta.L’idea carognissima era lo starnuto. Si faceva finta di starnutire sulla cartella del vicino per fargli zompare tutte le scorza di mandarino sulle caselle. Ovviamente ripartiva la giostra con la rilettura dei numeri usciti e noi giovani carogne con il nostro contorno coro malefico.Un'altro geniale boicottaggio era chiamato il “sonar”. Ad ogni numero estratto si ripeteva il finale con un bip. “Il numero è fuoriii …” si sgolava l’oramai afono tombolaro...”Ventototto!”...e noi giovani carogne...”otto bip...otto bip...otto bip...otto bip”...un’estenuante goccia cinese. Questo per ogni numero estratto. Dopo una ventina di estrazioni sembrava di essere immersi in un sommergibile.L’ultima spiaggia era rubare i numeri dal cartellone. Non si arrivava mai a fare tombola perché ne mancavano minimo una trentina..alla fine si annullava tutto e si ricominciava daccapo.Ma gli anziani tostissimi non mollavano mai. Il loro motto era...“O si fa la tombola o si muore!”Noi giovani carogne l’immaginavamo vestiti tutti in camicia blù come il settimo cavalleggeri in Little Big Horn. Mio padre, Custer in persona, con i baffi, capelli biondi lunghi e foulard giallo stretto al collo. Il fido Panariello del tombolaro nella mano come una spada sguainata. Noi eravamo gli indiani che gli giravamo in tondo tirando frecce infuocate alle loro sedie. Ahimè, senza alcun risultato. Drogati tombolari.Disperati una pazza vigilia ci giocammo il jolly.Pur di farla finita nel bel mezzo di una cinquina agguerrita, infilammo due fagioli nel naso ad un nostro ignavo cuginetto.Passammo la mezzanotte tutti al pronto soccorso a giocare a tombola con gl’infermieri.Odio la tombola...ma erano Natali ruggenti.Roberto Testa