Svolgimento
Mi appare così Palermo.
Bella in ciò che l’uomo può solo guardare e non toccare; albe e tramonti rossi e viola, fiori in mezzo al cielo.
A questa città sono incline a perdonare tutto, per il sole e la sua luce chiara, eppure se mi addentro nei suoi storici quartieri, faccio fatica a trovarci tutta la bellezza antica. Essa sembra affiorare frammentata, fra gli strappi di una tela sudicia che copre tutto quanto. Squarci di un’epoca, remota quanto il suo cristianesimo orientale, barlumi di un orgoglio che ogni giorno va perdendo appigli.
M’illudo di vedere Palermo nel suo ultimo abito elegante, il liberty dei Florio, Villa Igiea. Posso anche immaginarla come una gran signora, quale “donna Franca” con lunghi fili di perle e mani affusolate, posso rintracciare la sua nobiltà nei saloni decorati di Palazzo Butera, Villa Bordonaro… ma finirò col piangere per la miseria toccata, invece, a Villa Arena(1)che, corteggiata anche da Visconti per “Il Gattopardo”, oggi ha l’erba alta e tutti i vetri rotti.
I vicoli, perlopiù strettoie, sono grovigli che, lascito degli arabi insieme alla confusione dei Borboni, rappresentano il “peggio” sopravvissuto bene.
A guardia di tutto, in ogni caso, c’è Santa Rosalia! Ha risolto il problema della peste, provvederà, speriamo, a tutto il resto.
Noi palermitani ricorriamo a Lei per il posto fisso e la salute. Fanno molto più le sue ceneri che non la politica e la sanità.
Per le stesse grazie portiamo in giro le Madonne che un tempo benedivano le coperte esposte sui balconi, oggi serrati e senza luce. E le Madonne attraversano strade senza festa piangendo i figli di Palermo. Figli come Falcone e Borsellino (morti nel “dovere”) e gli altri, figli anch’essi, mafiosi e assassini.Poi guardi il promontorio, il mare, i gabbiani in volo e allora ti sembra possibile dimenticare ogni pregiudizio, quelli che la Tv ha inculcato a tutta la Nazione. Così che gli Italiani credono le nostre statue, siano santi oppure condottieri, solo demoni di pietra e ignorano la bellezza degli angeli plasmati dal Serpotta e delle anime impastate di coraggio che in vita sono state … Don Puglisi.
Alle volanti che tagliano il rosso degli incroci, alle ambulanze sempre in preda all’isteria, si sono abituati pure i gatti che, al passaggio, alzano distrattamente il muso, poi tornano a cercare rigatoni e lische sotto un muro sporco.
Il bus storico, il 101, fa la spola tra lo stadio e la stazione, una corsa ogni tre minuti. Chissà perché la chiamano “corsa” quando procede sempre a passo di lumaca?!
Sotto l’arco di Porta Nuova sfila una cordata di turisti, donne smanicate, uomini in pantaloncini corti, tutti con il cappellino in testa; sole o neve (quest’ultima a cadenza decennale) medesima tenuta.
Un viaggio, il loro, che non dimenticheranno mai, per i colori dipinti dallo scirocco, caldi e densi come marmellate e per le fragranze di Villa Malfitano, che impregnano la memoria come profumo spruzzato sui vestiti; o che non dimenticheranno mai per aver subito il furto del proprio portafogli e per il lezzo d’immondizia del quale parleranno a tutti i loro amici. Se ne andranno con il concerto dei clacson nelle orecchie e con le voci degli storici mercati, Ballarò, Capo e Vucciria, registrati sul telefonino. Avranno riso per quelle vocali dilatate, alfabeto di un dialetto intraducibile e chiassoso. Se ne andranno con gli occhi pieni dell’oro delle chiese e con la bocca che avrà gustato i difficili sapori di milza, panelle e fichidindia. Se ne andranno con la sabbia in pugno dopo avere immortalato mare, chiese e bancarelle.
Palermo non si difende più, le sue palme muoiono, i suoi negozi chiudono, una sequenza interminabili, e lungo le strade ti accoglie con un sorriso sdentato e sofferente.
Felice Palermo quando si sveglia stiracchiandosi sotto un cielo vertiginosamente indaco; cielo che non si piega alla stupidità degli uomini e accarezzando la città, i tetti rossi con i recipienti azzurri, non la giudica, non la disprezza, ma disperatamente l’ama!
Adelaide J. Pellitteri
(1) Villa Arena: Residenza di campagna appartenuta ai Marchesi Mortillaro (in contrada Cruillas). I suoi saloni furono presi in considerazione per alcune scene del Gattodarpo, ma a Villa Arena in fine si preferì Villa Boscogrande.