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Tema : Partire è come morire

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Tema : Partire è come morire
Che non fossi portata per i viaggi fu chiaro a tutti al compimento del quarto anno di età.
Non appena venivo collocata sul sedile posteriore in finta pelle della 128 Panorama verde menta , di cui ricordo ancora con disgusto l’odore di macchina nuova, cominciavo a sentire una roba strana e fastidiosa nello stomaco che solo più tardi identificai con la parola “nausea”.
La prova provata di questa mia allergia ai viaggi venne testata durante i sette km di tornanti che tutte le domeniche per anni percorrevamo (io, mamma, papà, sorella) per andare in visita ai nonni nel paese dove la spremitura dei grappoli dava delle ottime bottiglie di Barolo.
Quei sette km erano la mia personale Via Crucis dove ad ogni piazzola anziché dire una preghiera, vomitavo nel fosso tra un paracarro e l’altro.
Mamma disperata (un viaggio di 50 minuti a volte durava due ore e passa) mi dava il cambio sul sedile davanti, dove, senza cinture di sicurezza (anni ‘60) sballonzolavo come un budino Elah, ma in piedi sul sedile potevo stare come un cane con le zampe aggrappate al finestrino e la testa fuori a farmi schiaffeggiare dall’aria che mi dava sollievo.
Papa’ si raccomandava di non sporgermi troppo per non dare il giro, ma oltre ad odiare i viaggi ero già sufficientemente fifona e facevo molta attenzione a non rotolare fuori come una palla. A fine viaggio mi aspettava l’insalata russa della nonna  che mangiavo a cucchiate come una miniestra.  lo stimolo della nausea, toccata terra, si trasformava in fame.

Avevo dieci anni quando fui obbligata a partecipare al mio primo viaggio oltre i 60km. Nonostante mi fossi opposta con tutte le forze e lacrime a disposizione, mi iscrissero al tour Inghilterra – Scozia organizzato dalla Parrocchia di San Martino. Io e mia sorella insieme a Lucia eravamo le uniche tre bambine del gruppo formato da 55 attempati partecipanti. C’era anche il rischio che qualcuno di loro ci lasciasse le piume visto che alcuni erano over 75enni e il viaggio in bus non era uno scherzo.
Lucia e mia sorella passarono i 15 giorni a giocare a carte: a otto anni dei Castelli Scozzesi, della Regina Elisabetta del museo delle Cere non poteva fregargliene di meno. Meglio ammazzarsi con infinite partite a rubamazzetto. Io pregando che la trasferta da una citta’ all’altra durasse il meno possibile con l’ansia di vomitare da un miglio all’altro. Il viaggio fu stile “Gruppo vacanze Piemonte” sveglia alle 6.00 tutte le mattine ritrovo alle 7.00 al pullman per caricare le valigie  e i borsoni vintage, appello che ci fossimo tutti, partenza e dopo 10 minuti l’immancabile Messa celebrata dal Parroco che ci accompagnava. Amen.
Al liceo rifiutai con varie scuse qualsiasi gita di classe.
Compiuti 20 anni fui invitata in barca da un’amica, non dissi no perché mi sembrava una cosa molto figa da fare. Ancora non sapevo che il mal di mare era una brutta bestia peggio del mal d’auto. Passai due giorni seduta sul pavimento in tek del bagno avvinghiata alla tazza, verde come la 128 familiare con i goccioloni di sudore che mi rigavano il viso. Ero distrutta, i succhi gastrici finivano nell’ intestino e ad un bel momento fu un casino in termini di priorità. Quando cominciai a stare meglio passavo la giornata seduta con le gambe a mollo sulla spiaggetta a prua, invidiando chi stava sulle spiagge all’ orizzonte a prendere il sole sulla sabbia che non si muoveva neanche di un millimetro se non spazzata dal vento. Tornai con le gambe ustionate e una linea perfetta.
A 30 anni feci il mio primo viaggio serio dopo aver terminato una storia di nove anni, era il premio per la mia nuova vita. Lui soffriva e io ero felice come una Pasqua. Stronza sì, ma felice, felice tanto!
La meta scelta fu l’India. Probabilmente le endorfine scatenate dalla sensazione di libertà mi fecero effetto droga e quando me lo chiesero  non ci pensai un attimo a dire: "Sì, vengo anche io"!
Partii dotata di tutti i medicinali necessari: maalox, citrosodina, polaramin etc etc, ma il più gettonato fu il dissenten che finì a metà vacanza e di conseguenza chi ne possedeva ancora qualche pastiglia se la teneva stretta stretta insieme alle rupie appese al collo.
Ad agosto nel Rajastan faceva un caldo assassino, le vacche sacre sembravano incartapecorite,  io  bevevo 8 litri di acqua al giorno facendo la pipì a gocce concentrate color tintura madre. Gli ultimi giorni dormivamo senza aria condizionata al confine con il deserto vicino al Pakistan.
Una notte sognai il treno Torino Carmagnola che doveva riportarmi a casa ma che non riuscii mai a prendere.
Bella l’India dicevo svegliandomi, affascinante, "Ma ora io voglio tornare a casina" piangendo senza lacrime, a secco,  perché il caldo si era asciugato anche quelle.

A Mikonos ci dovetti rimanere 15 giorni a causa del pacchetto vacanza che non permetteva di prendere altri voli senza pagare una penale. Dieci giorni sulla stessa isola mi portarono alla follia: dall' 11° giorno iniziai ad aiutare il bagnino a mettere a posto le sdraio a fine giornata, il 12° suddividevo i granelli di sabbia in base al loro calibro, il 13° scoprii che l’OUZO bevuto puro era meglio che diluito nell’acqua e mi scioglieva la carogna di essere prigioniera sull'isola più bella delle Cicladi. Il 14° entrai in modalità partenza, comprai tutti i souvenir da portare in Italia e il 15° giorno finalmente un  aereo  di una compagnia sconosciuta  mi riportò a casa.
Ci furono altri viaggi e patimenti, ma ormai avevo capito che ero una “Bugia Nen DOC”
Partire per me era ed é morire
Morale:
Una vita senza viaggi dall’altra parte dell’emisfero, non è invivibile ma una pacchia! #sapevatelo

Anna Wood


La foto in copertina è stata scaricata dal sito FB del  Centro Storico Fiat  che in questi giorni  ha superato i 100mila MI PIACE   diventanto il Museo piu' seguito al mondo.
Grazie

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