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Tema: Pasticciata Siciliana (IV di IV)

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Tema: Pasticciata Siciliana (IV di IV)L’avrebbe fatto stasera? Finalmente l’avrebbe fatto? Avrebbe fatto finalmente il salto nel vuoto, ci avrebbe provato con la Grande Strafiga Stupida Tettona che lo ammaliava con la superficialità dei suoi discorsi, l’esplosività del suo corpo? Marco uscì dal ristorante pensando che si, si, si cazzo, questa era la sera buona. La spinta gliel’aveva data il tizio di trent’anni che gli aveva indicato col dito, con un gesto insieme teatrale e magniloquento, onesto e magnifico, che gli aveva indicato col dito i vuoti delle sue stempiature e della sua vita. La spinta gliel’avevano dato i suoi Sogni Infranti. Una meraviglia.
Stefania. Una meraviglia. Dentro la sua Seat Arosa giallina, sua per modo di dire, dato lo zero totale delle sue entrate da qualche mese a questa parte, e l’intestazione in nome del padre, dentro la sua Seat Arosa giallina c’era ora Stefania, tutta provocante nel suo maglioncino rosso, nei suoi jeans stretti, nelle sue scarpe da tennis. Provocante, ammaliante, tremendamente attraente nella sua innocente sensualità. 
Carte di gelato svolazzanti, il bicchiere della bibita caduto per terra, i tappetini luridi di terriccio e minuscole cartacce, il cruscotto rattoppato con lo scotch, i vetri appannati. Lì, sull’umido dei fiati condensati, Marco aveva disegnato con le dita tremanti un tondo e tre segnetti all’interno. Una faccina triste. Una cosa così idiota che quasi ne provava vergogna. Ma lei aveva riso, e questa era ciò che contava. Gli aveva piantato in faccia i suoi due grandi occhi celesti e gli aveva chiesto perché mai quella faccina era triste.
Il suo corpo, nella risata, sobbalzò tutto. Lui sentì distintamente il fiotto caldo di profumo che sprigionarono quei due suoi seni. Seni enormi, mamma mia, seni enormi in cui avrebbe voluto affondare, perdersi dentro, annientarsi. Sentì che se ne stavano là, gioiosi e placidi, maestosi e materni. Sentì le sue gambe poggiate sul cruscotto, piegate e aggraziate, che ogni tanto cambiavano posizione. Sentì tutto il corpo di lei, florido e nello sbocco della gioventù, che sembrava invitarlo ad una più calda conoscenza.  
Ecco, era il momento, aveva pensato. Piano piano le prendo le mani, le accarezzo il collo e la bacio. Non è mica così difficile, pensò. Devo solo non far caso a quest’agitazione che mi stringe lo stomaco. E non farmi scrupoli, e andare dritto al mio scopo. Oh, finalmente una bella avventura come Dio comanda. Niente di serio, niente di impegnativo, ma solo un corpo caldo dove affogare e dimenticare sta cazzo di vita. Lei è una Femmina Clamorosa, oltre che Grande Strafiga Stupida Tettona, questo devi pensare, una Femmina Clamorosa, sovrabbondante di sensi e sensualità. Giocatela così, diamine. Sui sensI. Accarezzala, crea quel legame mistico delle carni che leggi dovunque, che studi e analizzi estrapolandolo da tutti i tuoi film e romanzi erotici che divori famelico e patetico, accarezzala, sfiorala col dito su quel collo bollente, avvicina le labbra su quei capelli aromatici di splendore, respira quell’alito di chewing gum, falle sentire il tuo respiro, nettati la bocca con ettolitri di colluttorio, spazzolati i denti ben benino, non fumare quando sei con lei, non sudare quando sei con lei, sii pulito e profumato, sensuale, un fuoco che possa farla accendere, avvampare, sciogliersi come un ghiacciolo davanti ad una stufa, liquefarsi fino a farti abbracciare, carezzare, sussultare, abbandonare.  
L’estasi. L’estasi del sesso con lei, senza più parole, senza più nessun discorso, senza più scartavetrare le tue parole da ogni accenno di ironia, intelligenza, acume, tutto per risultare Dolce Simpatico e Affabile e farti dire Oh Marco che Tesoro che sei, che Fortuna è stata Averti Conosciuto, Oh Marco, Tu Non Sei Come Tutti Gli Altri, Oh Marco, tu si che Rispetti Le Donne, tu si che Sai Ascoltare, perchè Tu Non Sei Come Tutti Gli Altri, tu sei Sincero Buono e Caro, e vai Oltre L’Aspetto Fisico, sei Sensibile e Onesto, Un Ragazzo d’Oro. Un Vero Amico. Una Persona di cui Fidarsi. Una Grandissima Bellissima Persona. Dio Quanto Ti Voglio Bene. E quasiquasi ci cominciava a credere pure lui, Oh Marco, ci cominciava a credere pure lui a tutte quelle maiuscole, a tutte le abbreviazioni affettuose da sms e chat, e si diceva che no, Oh Marco, Oh Marco, Oh Marco, no. Non avrebbe fatto come tutti gli altri, no no no, Oh Marco Tu Sei diverso, non avrebbe fatto come tutti gli altri, non ci avrebbe provato in modo brusco e anticinematografico, non si sarebbe gettato su di lei infilandole le mani ovunque e rombando di suoni sordi e imbarazzanti come se stesse succhiando un lumacone, non l’avrebbe afferrata brutalmente come se fosse fatta di sola carne, non l’avrebbe stritolata nel suo abbraccio affamato, non le avrebbe offerto il suo alito puzzolente, le sue ascelle sudate, i suoi occhi da triglia, come facevano tutti. No, ci avrebbe provato con lei, e avrebbe avuto tanta raffinatezza, tanto candore, tanta attrattiva, che lei si sarebbe sciolta all’istante, non avrebbe avuto più volontà, sarebbe stata immediatamente tutta sua, un bombolone alla crema su cui affondare i denti, un bombolone fritto e unto e ripieno di crema che lo mordevi e la crema fuoriusciva da tutte le parti, e Marco avrebbe riso dopo essersi impiastricciato tutta la faccia con quella crema meravigliosa, e Marco avrebbe riso felice per sempre perchè quel bombolone era infinito e l’avrebbe potuto morsicare, addentare, divorare in eterno, senza che ci fosse il rischio che si consumasse.  
Si, ci avrebbe provato, e ci avrebbe provato stasera. Proprio stasera, mentre lei lo guardava con quei due suoi occhi bovini, paciosi, caldi e grandi e completamente senza scintille di nevrosi, una Mucca Sacra Indiana, tutto il contrario dei suoi occhi da tigre, eccitati, furiosi, tutti presi dai suoi strampalati Grandi Obiettivi. Occhi della Mucca contro Occhi Della Tigre. Eyes of the Cow versus Eyes of the Tiger. Che figata. 
“Insomma, me lo vuoi dire perché quella faccina triste?”. Non era un’aquila, lei, con la sua risata sciocca, il suo linguaggio da sms e i suoi schemi mentali. Faceva la commessa, acciuffava i clienti nella sua tela di piccole seduzioni e occhiatine piccanti, faceva girare la testa pure al proprietario che non riusciva mai a sgridarla per i suoi ritardi frequenti ed altezzosi. Era perfettamente cosciente delle sue doti, si mostrava sicura e padrona di se, ma dentro era ancora una bambina. Una bambina stupida cresciuta nell’ovatta della sua sicurezza di essere sempre e comunque Una Strafiga Tettona e che, quando questa sicurezza vacillava, allora erano crisi assurde, pianti disperati, crolli vertiginosi. Era una bambina, una bambina stupida, Marco la disprezzava ma non voleva ammetterlo. Perchè la sua Femminilità Clamorosa bastava a fargli incrostare i suoi giudizi di tonnellate di vernice allucinatoria. Il suo sesso lo pervadeva. “Dimmi dimmi dimmi” continuava a strepitare lei, e intanto lo stuzzicava con le mani. Gli dava colpetti sul braccio, gli si avvicinava senza apparente malizia, mostrando quel collo odoroso che spandeva il suo fluido ipnotico. Lui ribolliva, in preda ai fumi del suo profumo, ma tentennava. Poi si decise. Si decise come quella volta che si tuffò nel magico mondo dei rapporti tecnologici, accecato da quelle curve mirabolanti che aveva intravisto nella camera di sua cugina, rintronato da quel seno tondo e robusto fasciato da un minuscolo top rosso, da quei fianchi mozzafiato stretti dentro quel paio di jeans chiari e opportunamente stracciati. Una visione riflessa dal grande specchio femmineo, dentro quella stanza di donne, sotto quella luce intima e frivola, con quei profumi inebrianti e vezzosi di candele rosa e fucsia, una visione che gli si ficcò in testa e vi restò, come marchiata a fuoco. Una lotta mostruosa per avere quel numero di cellulare, con la cugina che in quell’occasione sfoderò tutte le sue armi di femmina sadica e lo fece penare non poco, e poi finalmente l’inizio della Grande Impresa. Con lui, giovane già bello amareggiato e disilluso, che si gettò anima e corpo in valanghe di messaggini, frasette di circostanza, discorsini idioti, faccine, pupini, emoticons e minchiatine assortite. Con lui che capì presto con chi aveva a che fare, sentì fin da subito l’abisso della sua superficialità, provò l’impossibilità di portare avanti con lei un qualunque discorso intelligente, ma che non distolse mai lo sguardo dalla Grande Impresa. Perché lei ci stava. Messaggiava con lui ore e ore come non avesse nient’altro da fare, poi si comprò il pc e scoprì la chat e lui cominciò a passare serate intere con il naso appiccicato allo schermo aspettando che lei si facesse viva. Gradino dopo gradino si inoltrò verso il suo cuore. Un lungo viaggio nel Tunnel Della Melassa.  
Idiozia dopo idiozia, banalità dopo banalità, i discorsi si fecero sempre più intimi e lei cominciò a lasciarsi andare sempre più. Nello schermo del pc, tra una faccina triste e una che piangeva, lei prese l’abitudine di vomitargli addosso tutte le sue esperienze passate e presenti, i suoi dolori, le sue illusioni infrante, le scosse e i sobbalzi della sua vita ordinaria da bellona ingenua di paese, con la paura del futuro e i maschi bastardi che non facevano altro che guardarle le tette. Che Vogliono Solo Una Cosa Da Me, e Nessuno Mi Ama per Quello Che Sono Dentro. Si sfogava, lei. Una volta le aveva pure confessato che stava piangendo, davanti allo schermo luminoso, mentre chattava con lui raccontandogli l’ultimissima delusione amorosa. E lui capiva, comprendeva, leggeva tutto con attenzione. Altrochè. A volte si lasciava perfino trasportare, si commuoveva addirittura, soffriva in cuor suo per quella povera anima in pena. Finì per bearsi intimamente e sinceramente della propria onestà, del proprio candore d’animo. Ma il momento era arrivato. Si era deciso. Il momento era arrivato. Il suo corpo e il suo spirito esigevano soddisfazione. Il momento era arrivato.
“Vuoi sapere cosa significa la faccina triste?”. “Siiii” disse lei, e un odore di menta masticata si spandeva dentro l’abitacolo della Seat Arosa giallina. Marco le prese la mano, guardò gli occhi di lei, che non avevano fatto nemmeno una piega, la Mucca Sacra Indiana continuava a ruminare placida, sicura che nessuno le avrebbe ostruito il cammino, nessuno le avrebbe fatto del male, nessuno si sarebbe lamentato per le sue torte di merda lasciate in ogni angolo dell’India. “Cara la mia Stefania…” Marco sorrise, ma era un sorriso storto, uscito male, distolse lo sguardo, strinse ancora di più quella mano calda, tremò, sudò, quand’ecco che sentì qualcosa. Qualcuno. Qualcuno bussava da fuori, bussava sul vetro del finestrino della sua Seat Arosa giallina. Bussavano. Marco vide le nocche bianche che picchiettavano solerti, da fuori, lasciando buchi trasparenti sul vapore condensato. Un attimo. Stefania prese a girare la maniglia del finestrino. Abbassò il finestrino. Cose da pazzi. Era Ivano Camarda.
Il più giovane scemo del villaggio sulla piazza, figlio di una stirpe millenaria di scemi del villaggio, che si butta in politica. Ivano Camarda si affacciò dentro l’abitacolo col suo faccione largo color del latte. Per caso vi disturbo? Avete già qualcuno da votare? Volete che i giovani prendano in mano il futuro del nostro paese? Volete la partecipazione dei giovani alla cosa pubblica? Votatemi! Votatemi! Una X sul mio largo faccione color del latte, scrivete Ivano Camarda, lista Futuro Giovane! La mano di Stefania sgusciò come un’anguilla da quella di Marco, Ivano Camarda cominciò il suo comizio, provato, rodato e preparato alla perfezione. Affacciò la testa e cominciò a declamare, sorriso gigantesco e tono da banditore d’asta. Contesto a parte, ci sapeva fare. La sua testa entrava sempre più prepotentemente nell’abitacolo, piano piano piano, il faccione bianco color del latte arrossiva gradualmente, goccioline di saliva tempestarono i due poveracci. “Perché ora la politica non viene più vissuta, la politica si fa in tv, si fa con gli spot e gli slogan. La politica sta perdendo il territorio, sta perdendo la gente. Noi dobbiamo lottare per invertire questa tendenza, noi che siamo giovani e abbiamo un sacco di energie, dobbiamo riprenderci in mano il nostro futuro e ricominciare a fare politica sul serio, a impegnarci sul territorio, con passione e abnegazione”.

Aveva cominciato a predicare il verbo berlusconiano sugli autobus, ammirava Berlusconi come Uomo, Uomo Politico e Imprenditore. Portava allora una giacca nera, camicia bianchissima, cravatta tricolore con lo stemmino di Forza Italia. Auricolare in cui gridava sempre, parlando con chissàchi, telefono appuntato alla cintura, stilografica in bella vista sul taschino. Poi era passato ai socialisti, poi ai radicali, poi ai neofascisti, poi ai liberali moderati, poi ai moderati liberali, poi un giorno cominciò ad aggirarsi per il paese con una giacca slabbrata marrone chiaro, jeans scuciti, tennis sformati, camicia a quadrettoni. Si fece crescere la barba. Quando cominciava a far freddo, si copriva con un eskimo col pellicciotto pescato chissà dove. Era diventato comunista. Poi divenne cristiano sociale, e frequentava gli ambienti ecclesiastici intrecciando ardite conversazioni con le vecchiette sulle doti erotiche di Mussolini e Fanfani. Creò una lista, di cui era l’unico iscritto, nonché presidente, segretario e tesoriere, che si chiamava Nuova Democrazia Cristiana. Poi la cambiò in Nuovissima Democrazia Cristiana Sociale. Poi Alleanza cristiana di centro. Poi Unione Sociale di Centro. Camminava con la foto di Andreotti nel portafoglio. Gli venne pure la gobba. Poi cominciò a frequentare i centri sociali di Palermo, andava alle manifestazioni, imparò un sacco di slogan da urlare davanti alle tenute antisommossa, si rifece crescere la barba, cominciò a parlare di alcool, droga e figa, si iscrisse su facebook, e divenne Giovane, scoprì la Partecipazione e l’arruolamento di piazza, di strada, di bar, di portineria, di caldo abitacolo di Seat Arosa giallina. Era il terrore di tutti gli under 30 del paese e di mezza provincia.  L'entrata in scena di Ivano Camarda ruppe l’atmosfera una volta per tutte. Niente Stefania, neanche per stasera. Perché, in un modo o nell’altro, era Campagna Elettorale per tutti. 

NF
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