Chiuse gli occhi e cominciò a organizzare la sua partenza: poche cose in un borsone, anzi uno zainetto sarebbe bastato, non c’era nulla, pensava, che le servisse davvero portare con sé, pochi soldi in tasca, il necessario per comprare un biglietto del treno, un viaggio lungo e lento, un viaggio per assaporare l’attesa, per percepire l’allontanamento chilometro dopo chilometro, fermata dopo fermata.Poi finalmente l’arrivo, finalmente avrebbe lasciato la terraferma alle sue spalle, avrebbe posato i piedi su uno di quei ponti che aveva visto solo in foto e in tv. Avrebbe trovato subito un lavoro, avrebbe fatto la commessa in un negozio di souvenir, si sarebbe adattata a dormire in un buco qualsiasi. E gli avrebbe telefonato, per dirgli che stava bene, che non si preoccupasse per lei, che però non sapeva quando sarebbe tornata a casa, presto, sì presto, il tempo di mettere da parte un po’ di soldi. Non gli avrebbe detto dov’era. Un giorno, una mattina, di domenica, con il sole e i turisti che vociavano e fotografavano intorno, avrebbe raggiunto Rialto, chissà se era davvero bello come in fotografia, sarebbe arrivata nel punto più alto del ponte, proprio in cima alla sua libertà, e avrebbe lasciato cadere il cellulare nella laguna, poi avrebbe cercato una panchina e avrebbe passato tutta una giornata lì, ad ascoltare l’assenza delle macchine, a sentire vibrare il selciato sotto i piedi, a guardare la luce giocare con l’acqua. Ad ascoltare l’acqua.
Il pavimento era sempre più freddo e adesso sembrava anche bagnato. Provò a muoversi, piano, sapeva come compiere caute ricognizioni per verificare che non ci fosse niente di rotto, che gli arti rispondessero. Solo allora capì che quel bagnato era sangue, dal labbro dal naso, chissà. Le costole le dolevano, la smorfia di dolore le rivelò un nuovo dolore, all’occhio sinistro. Raggiunse il bagno, rimase a lungo con la faccia sotto il rubinetto, l’acqua fredda dapprima faceva male poi anestetizzava. China com’era allungò un braccio verso il cassetto alle sue spalle, a tentoni cercò, trovò la cicatrene, il tubetto era quasi vuoto, doveva ricordarsi di comprarlo domani. Si riasciugò, fuori dalla finestra il cielo si era fatto scuro, dovevano essere le sette passate ed era tempo di darsi una mossa, c’era la cena da preparare e lei aveva dimenticato di scongelare la carne. Con gesti rapidi finì di medicarsi, avendo cura di evitare di incrociare il proprio sguardo nello specchio che aveva di fronte.Patrizia Sardisco