Tema: Quadrato Nero. L’utopia nelle lezioni di letteratura di Frisch
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«La letteratura produce (implicitamente) l’utopia secondo la quale la condizione umana potrebbe essere diversa». Sta tutto qui il senso di Quadrato nero. Due lezioni sulla letteratura, di Max Frisch. Si tratta di due celebri conferenze che il narratore, diarista e drammaturgo svizzero (1911-1991), tra i maggiori del Novecento, tenne (in inglese) al City College di New York il 2 e il 4 novembre del 1981, e che ora vengono proposte, per la prima volta in Italia, in un agile libretto edito da Gaffi, con una felice introduzione di Massimo Raffaeli. Che giustamente pone in risalto un libro decisivo per la formazione dell’autore di Stiller e Homo faber: La metamorfosi di Kafka, uno dei simboli più illuminanti dell’alienazione dell’uomo contemporaneo.E fin dalle prime pagine si avverte tutta la forza testamentaria di Quadrato nero; dove Frisch magistralmente declina la parola-chiave dell’intera sua opera: quell’utopia che la letteratura custodisce per l’uomo. E non a caso queste lezioni sono sostanziate da una fitta retorica della citazione (in buona parte dalle stesse opere di Frisch, specie dagli scritti diaristici), a mostrare come la letteratura sia un «varco verso la genuina esperienza dell’esistenza umana», oltre e contro la lingua del potere, dei poteri, che tende a «scoraggiarci, per assicurarsi la nostra disponibilità». Una finzione, la letteratura, che smaschera altre finzioni.
Una menzogna, avrebbe detto Manganelli, che inventa le verità che mancano alla realtà: laddove la scrittura diventa una «legittima difesa contro l’esperienza dell’impotenza», e l’immaginazione, cioè l’inventare storie e lettori (di quelle storie), scaccia i propri demoni, rende visibile il doloroso divario tra il reale e ciò che potrebbe davvero essere il vivere. Al collega americano Harold Brodkey, che gli chiedeva di definire l’utopia, così rispose Frisch: «è il nome di tutto ciò che so non esistere». Ma che può esistere. Una direzione, una consapevolezza: la stessa che ha chi guarda Quadrato nero, il famoso quadro di Malevič. È stato un lucidissimo e sarcastico sradicatore di certezze, Max Frisch (che per anni visse anche in Italia e negli Stati Uniti). Sempre pronto a seminare domande, senza teorie (del romanzo, del dramma) e senza ricette. Così diverso, eppure così simile al grande amico e conterraneo Friedrich Dürrennmatt, che come lui ha cercato di dar forma al caos dell’esistere. I «gemelli terribili», li chiamavano. Loro che ben sapevano, da svizzeri, che la Svizzera aveva rinunciato al sogno, all’utopia, scegliendo di essere un «club ben funzionante». Loro che mai hanno smesso di ricordarci a cosa serve la letteratura: a farci capire che non viviamo nel migliore dei mondi possibili.
(La Sicilia, 18 gennaio 2013)
Giuseppe Giglio
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