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Tema: un libro che consiglieresti. L'Estate che sparavano di Giorgio D'Amato
Creato il 05 luglio 2012 da Svolgimento @svolgimentoPartendo dalla dedica, che è sempre privata, ed è una questione tra il lettore e l’autore, che al lettore concede due neuroni in più rispetto a quanto pattuito, la mia è stata buttata giù in siciliano e, volendo semplificare, dice più o meno che noi (io e il D’Amato?), l’Estate che sparavano, saremmo stati diversi. Quanto diversi? Più o meno come i due protagonisti? Il mio pensiero non può che andare alla stagione calda del 1982. Avevo diciassette anni e avevo tutta la bellezza del somaro, che è insieme gioventù e incoscienza. Ero cretina e leggerina ma già pronta per i disastri esistenziali futuri: i germi per l’apocalisse a quell’età ci sono già tutti. Mi indignavo, mi spaventavo, mi incazzavo, e tutto questo insieme, senza che nessuno potesse farci niente. Io stessa non potevo farci niente. Esattamente come il protagonista e il suo unico amico Antonio. Non unico perché solo, ma unico perché unico al mondo, specialissimo. A diciassette anni l’amicizia non può che essere questo: la più alta e perfetta forma d’amore, qualcosa che aiuta a superare il resto, anche (specie) se il resto è fatto di morti ammazzati, di piccola borghesia che si pulisce le labbra sporche di cassata e intanto si gira di là, perché niente può cambiare, è così che il mondo ha sempre funzionato.
Questo romanzo procede in modo eccellente sfruttando la forma ipnotica del confronto diretto tra il male e l’innocenza. La brutalità di un mondo mafioso, fatto soltanto di regole irrazionali scritte con armi di vario genere, trova ad attenderlo in ogni pagina la bellezza del confronto tra due amici assolutamente diversi, che hanno come unico legame un bene profondo, comune, misterioso ai loro stessi occhi e svelato a tratti (la strepitosa pagina 89, in cui un abbraccio riesce a scolpire due intere vite).Il protagonista narratore e il suo amico Antonio si amano. Non importa in quale modo, tacendo, dicendo, urlando. Ognuno ama la diversità dell’altro e la accetta con rabbia mentre con rabbia la rifiuta, perché per arrivare a negarla la deve prima osservare. E qualcosa, inevitabilmente, penetra. Da ultimo, il narratore resta in Sicilia, forse per combattere e cambiare le cose. L’amico Antonio, invece, parte per Roma, per cercare di realizzare quella bellezza che ha tentato nei piccoli pesci dipinti o che ha cercato al cinema, nelle pellicole di Antonioni. La mafia, con i suoi riti, le ammazzatine, le stragi decise secondo una logica guidata solo dalla paura dell’assassino di crepare prima della vittima designata, tutto questo è narrato magistralmente e scolorisce piano in una sconfitta del male, che veramente si rivela banale, e di nessun interesse. Il lettore si sorprende a voler conoscere solo l’epilogo della storia di quelli che hanno vinto con il respiro della giovinezza.
Io mi sorprendo nel conoscere da capo uno scrittore che credevo bravo, e invece è grande.
R.L.
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