Una tipica serata sbagliata, come mille ne avevo già passate. Avevo mille pensieri in testa, uno più inutile dell’altro, e quando ho la testa immersa nei miei cazzo di pensieri, di sicuro, c’è solo che non gioco bene a biliardo. Non giocare bene a biliardo voleva dire principalmente una cosa: non portare a casa i soldi per mangiare. Odio avere pensieri per la testa, sbagli a tenere la stecca tra le mani, le palle non entrano dove dichiari che debbano andare e tu fai la figura del novellino che non si è ancora rasato la faccia per la prima volta. Una serata sbagliata. Non giocando bene a biliardo, ho speso tutto il resto dei miei soldi in birra. Tutto fino all’ultimo centesimo pur di far smettere a quelle voci di parlare dentro la mia fottutissima testa. Farle smettere per almeno un paio d’ore. Allontanarle da me e rispedirle dal profondo dal quale provenivano. Io so una cosa, la so fin dal primo momento che ho pomiciato con la mia prima ragazza alle superiori: siamo cadaveri. Siamo solo dei fottutissimi cadaveri ambulanti, ignare scatolette di carne che i vermi attendono solo di aprire e di mangiarci. Tenni quella prima ragazza tra le mie braccia, la baciavo in modo serio per la prima volta, io baciavo per la prima volta in maniera seria. Pensai al calore che il suo corpo mi trasmetteva, che il mio trasmetteva a lei. Pensai alle sue mani e alle mie, le nostre mani che entravano sotto i vestiti e cercavano altra carne da esplorare. Le labbra, le lingue, la pelle, la saliva, tutte mescolate assieme. Ma alla fine non mi restò niente, sapevo perché. Lei era un cadavere, un cadavere ancora caldo, ma destinato a putrefarsi.Così fu con la seconda ragazza e poi con la terza e poi con la quarta. Non capivo perché si dovesse ricercare dell’altro calore umano. Il bacio, la carezza, l’abbracciarsi ci fa stare bene e siamo alla ricerca di queste cose perché sostanzialmente è solamente un passaggio di calore. Niente di più e niente di meno. Calore. Calore che riscalda dal freddo dell’inverno, dalla freddezza delle altre persone, dal terrore della morte. Cerchiamo scampo rifugiandoci in sogni romantici, in viaggi lontani, nei capelli di chi amiamo. Il nostro rifugio è solamente un cadavere. Come noi. Come ciascuno di noi. Con la quinta ragazza con cui mi misi insieme, vidi il suo scheletro. Il teschio ghignante, le orbite cave, le braccia tremolanti. Io l’abbracciavo, ma non sentivo altro se non le sue ossa, il suo sangue, la sua carne, le sue cellule che stavano morendo. La scopata riscaldava alla stessa maniera di un fuoco di paglia. Tenue e veloce, e il freddo che c’è fuori è troppo grande.“Sono al sicuro solo con te” vuol dire principalmente una cosa: che a morire sarete in due, che le difficoltà vi schiacceranno in due, che sarete in due a soffrire e il dolore non si espande in maniera aritmetica, è un’espansione esponenziale.
Rido di quelle persone che cercano di riempirsi la vita con un figlio, di allontanare la solitudine, la vecchiaia, la morte, il silenzio delle mura di casa, con un figlio. State generando altra morte intorno a voi. Morte mascherata dal calore che vi serve. Perché nessuno vede in un bambino appena nato la morte? Eppure anche un bambino appena nato sarà un cadavere. Mangerà, dormirà, studierà, scoperà, amerà, cagherà, invecchierà e poi morirà. Alla ricerca di altro calore, genererà anch’esso altra morte.Questi sono i pensieri che ogni tanto e sempre più spesso si fanno sentire. Le stesse idee. Il bello è che anch’io voglio quel calore che fa stare bene, ma quando ce l’ho tra le mani, tra le pieghe della mia vita... io non sento più niente, sento solo ancora di più il freddo, vedo il mio cadavere che abbraccia e bacia e scopa un altro cadavere. Non la vedo più come la soluzione e alla fine penso che sia meglio rimanere da solo. A farmi una birra scura nel pub all’angolo, aspettando che questi pensieri svaniscano, che queste voci si zittiscano e tornare a guadagnarmi da vivere mettendo la palla 8 in buca, per ultima.
Andrea Roma Knulp