Caldo, caldissimo, non a caso, direi, Giordano Bruno, quasi presentisse la fine che avrebbe fatto, oppure glaciale? E la lentissima cottura a cui sottopone Moby Dick fino al vertiginoso inferno dove brucia Achab? O ci mettiamo invece quell'altro Melville di un Bartleby che vuole soltanto spegnersi? I would prefer not to. Sulle temperature è invece tutto giocato Don Chisciotte: in un mondo freddo e accondiscendente alle sue storture cristalline, l'uomo che legge si infiamma di speranza e si scioglie senza mai raffreddarsi. Salvo quando vede Dulcinea - la prima controepifania della storia letteraria - e sarà l'altro geniale invasato di calori effimeri a ricordargli la sua fiamma e il suo amore. E com'è che Auto da fé - Auto da fé tra gli altri, dico - finisce in quel prodigioso incendio? Adorato dottor Kien, don Chisciotte mitteleuropeo e intransitivo.
Apro un nuovo libro. Devo avvertire quel caldo nascere in me, quel caldo buono, o almeno le sue quattro / capriole / di fumo / del focolare o il rossore segreto di un uomo in bicicletta che guarda occasionali avventori. L'intimità improvvisa del poeta, quei gorghi caldi di Seferis, rispetto ai meccanismi oliati e lucidi di una narrativa senza errori. Mi aspetto che il libro mi tocchi, ma a furia di leggere ci si droga o ci si esercita a spogliarsi sempre più in fretta rispetto alle carezze di parole nuove. Poi, poi, poi viene il resto. Intanto il piacere della carne e dell'incontro, imparare a riconoscere il proprio inatteso sudore. Poi, poi, poi viene il resto, e poi verrà.