A volte la rete è imbarazzante come l’amico che racconta la barzelletta di vent’anni prima, dicendo che l’ha appena sentita. E di certo per chi ha lavorato nei giornali apprendere che la tiratura non corrisponde alla vendita, presentata come uno scoop della società Ads (accertamenti diffusione stampa) induce a darsi pizzicotti per vedere se si è svegli o si sta sognando: la differenza c’è sempre stata per ovvi motivi di distribuzione e del resto è testimoniata dalla lunga serie storica che la stessa Ads pubblica sul suo sito. Infatti la notizia non è questa e nemmeno scoprire che i giornaloni, talvolta auto nominatisi partitoni, hanno cifre di vendita ormai assai modeste rispetto all’importanza che si attribuisce loro (440 mila copie il Corriere e 357 mila La Repubblica), nemmeno apprendere che l’Unità vende attorno alle 35 mila copie e ne stampa ufficialmente il doppio, cosa che ai miei tempi sarebbe stato un suicidio economico.
La novità che invece ci dice qualcosa di più non solo sullo stampa , ma sul Paese, al di là della poca propensione alla lettura è che le vendite sono diminuite mediamente di un buon 10% dopo la dipartita di Berlusconi. Il Fatto quotidiano illustra alla grande questa situazione con con un’esasperazione di cifre nel bene e nel male: nel 2011 ha venduto mediamente oltre 71.000 copie giornaliere, con un incremento dell’ 11% sull’anno precedente. Ma in questo 2012 le copie sono drammaticamente calate: a maggio si è arrivati a meno 24% (52.000), tanto che il quotidiano di Travaglio ha dovuto chiedere il finanziamento pubblico.
Tutto questo illumina molto bene alcuni aspetti della palude nella quale siamo impantanati: per troppi anni si è stati berlusconiani e antiberlusconiani fino a che la politica non si è ridotta all’adorazione del cavaliere e dei suoi ladroni o alla demonizzazione dello stesso. Prova ne sia che le cose dette da Sacconi suscitavano cazzi e mazzi, imprecazioni dell’opposizione, vilipendi e sagge articolesse di riprovazione nella stampa diciamo così a sinistra, mentre le medesime cose fatte dalla Fornero – e in maniera inqualificabile – trovano un sobrio e delicato apprezzamento, a volte intarsiato da critiche di delicata e sommessa fattura, da parte dei medesimi soggetti. Viceversa sui giornali silvieschi, anch’essi puniti dalle vendite, si naviga in una sorta di universo dadaista dove si dà addosso a Monti (tasse escluse) quando applica i massacri sociali che questi avventori di bar sport, avevano sempre auspicato.
E’ come se ogni considerazione sociale e politica fosse stata messa tra parentesi e adesso nelle parentesi non ci fosse più scritto nulla. E’ come se fossimo orfani di una sorta di battaglia tra il bene e il male, dalla quale siamo usciti però senza sapere cosa sia bene e cosa sia male. E’ come se la mattanza di pensioni, diritti, salari, servizi fosse accettabile solo perché non c’è più Silvio e domina un governatore con fama di illustre economista, anche se quanto a citazioni scientifiche, non potrebbe presentarsi ad alcun concorso a cattedra senza suscitare ilarità.
Il vero problema è che l’editoria italiana, oltre a trascinarsi da innumerevoli decenni, molti difetti che poi sono gli stessi del Paese e che per essere illustrati richiederebbero altro che un post, pare non aver capito davvero l’impatto della rete che non solo sposta dalla carta ai bit molti lettori, ma cambia attese, contenuti, stili, modalità e anche impatto. I grandi giornali sembrano impegnati a “tradursi” così come sono nella rete, ne hanno colto gli aspetti più superficiali di consenso, clicca mi piace, diffondi questo per primo, hanno afferrato la voglia di protagonismo aprendo ai commenti, ma non hanno compreso il cambiamento del mercato dell’informazione che vuole contenuti diversi. Possibile mi chiedo che sul quotidiano online più diffuso, cioè Repubblica, non sia uscito alcun articolo decente sul bosone di Higgs, cosa che si poteva fare benissimo senza dover prevedere i tempi e i problemi del cartaceo, mentre nega ai non abbonati l’imperdibile lettura di una intervista di Renzi ? E’ su queste fesserie che punta il giornale? Oppure è l’editore che punta su Renzi per i suoi interessi sull’acqua pubblica?
E’ così che piano piano perdono terreno anche nei confronti del complesso dell’on line, sostituiti da altre reti. Stamattina, visto che ero sul sito dell’Ads a scaricarmi gli excell delle vendite, sono andato a guardarmi le visite ai siti online di Audiweb. Non l’avevo mai fatto e sono rimasto molto sorpreso di come le realtà editoriali “ufficiali” siano ormai una sorta di punta dell’iceberg che non tiene conto del grosso dell’informazione in rete. Per dire, in maggio L’Espresso ha totalizzato 147 mila pagine viste, il Foglio 54 mila, La7 594 mila, la Rai 2 milioni 179 mila, il Messaggero 508 mila, Le Scienze 13 mila, Prima Comunicazione 6 mila, Grazia 17 mila e così via con i giornali di area che vanno dalle 30 mila alle 140 mila, e i giornali nazionali, (salvo Corriere e Repubblica che hanno fatto 10 e 11 milioni di pagine viste) che navigano più o meno dalle 200 mila al mezzo milione con il picco de il Fatto a oltre un milione. Sembrano cifre alte, ma questo modestissimo blog, composto nei ritagli di tempo che lascia il lavoro, ne ha totalizzate nello stesso mese, non particolarmente brillante peraltro, 98 mila. Figurarsi quindi l’insieme di pagine viste nello sterminato mondo di siti comparabili, quelli con meno clic o magari molti di più: un oceano nel quale l’editoria italiana non ha ancora imparato a navigare, inseguito però alle calcagna dai debiti della carta. Sempre più come la politica destinato a un circuito chiuso.