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Tempi glaciali, di Fred Vargas (2015)

Creato il 01 settembre 2015 da Psichetechne
Tempi glaciali, di Fred Vargas (2015)
Anno: 2015    Editore: Einaudi, Collana Stile Libero Big   Traduzione: Margherita Botto   Pagine: 443  Isbn: 978-88-06-22773-9   Euro:  20,00

Si è mobilitata tutta l'Anticrimine del tredicesimo arrondissement  di Parigi sul caso di due apparenti suicidi. Il coltissimo capitano Danglard, grande estimatore del vino bianco, l'energetica Violette Ratancourt, lo specialista in pesci d'acqua dolce Voisenet. Ma soprattutto lo svagato, irresistibile "spalatore di nuvole", il commissario Jean-Baptiste Adamsberg. Tutto inizia col ritrovamento di due corpi e la scoperta di uno strano simbolo scarabocchiato accanto a ciascuno di essi. Ma come sempre accade nelle storie di Fred Vargas, questo non è che l'avvio di una avventura che finirà per snodarsi in mezza Europa tra una balzana setta di adepti della Rivoluzione francese e una gita in Islanda finita in tragedia. 
Proveniamo dalle vacanze estive, un'estate quindi anche di letture. Avevo pianificato di portarmi sulle spiagge la trilogia di Pierre Lemaitre, ma mi sono dovuto purtroppo fermare a "Irène" perché i miei librai di fiducia mi hanno tutti in coro informato che gli altri due ("Alex" e "Camille") erano in ristampa, quindi a un certo punto ho dovuto partire portandomi dietro altre cose, che avevo comunque intenzione di leggere. Prima fra tutte "Tempi glaciali", come no, l'ultimo romanzo della mia amata, adorata Fred Vargas, dalla quale mi aspettavo giorni di sognante, rilassante lettura.Detto fatto. Inizio il libro, avendo alle spalle notevoli romanzi del ciclo di Adamsberg, quali ad esempio "Nei boschi eterni" (2007), "Sotto i venti di Nettuno" (2005), "La cavalcata dei morti" (2011). Sono molto legato in particolare a "Nei boschi eterni", grande affresco letterario non inscrivibile in nessun genere, magrittiano, oserei dire, onirico, con quel gran bel colpo di scena finale che parla di desiderio di eternità e inanella simboli e miti mitteleuropei mescolandoli in una ricetta molto gustosa e dai sapori inediti. E' forse per questo che "Tempi glaciali" mi è parsa come una sorta di doccia fredda, di battuta d'arresto dell'ispirazione della Vargas. Un romanzo cioè, come sembra recitare il titolo, più "glaciale degli altri", nel quale il pathos oniroide della Vargas si perde nei labirinti di una trama a tratti schematica, rigida, che sfocia in un finale sottotono, con un assassino non molto credibile, troppo ben nascosto dalla folla di personaggi distribuiti lungo il sentiero della narrazione. "Tempi glaciali", rispetto a tutti gli altri della Vargas, è a mio avviso un romanzo che non si fa facilmente seguire, che non seduce come invece capita agli altri. Mi sono domandato se questa sua caratteristica non derivasse dalla traduzione, ma Margherita Botto aveva tradotto anche gli altri romanzi, con esiti davvero felici (soprattutto in "Nei boschi eterni"), eccetto "Sotto i venti di Nettuno", tradotto in italiano da Yasmina Melaouah, qundi è un pò difficile pensare che l'esperienza pregressa della Botto l'abbia indotta a rovinare quest'ultima pièce della scrittrice e ricercatrice di archeozoologia presso il Centro nazionale francese per le ricerche scientifiche. No, non si tratta della traduzione. E' proprio la struttura narrativa del romanzo che prende le distanze dalla matrice ispirativa originaria. Tale distanza (emotiva della Vargas rispetto ai suoi personaggi, io credo) è forse anche rappresentata dall'idea stessa (centrale nel romanzo) di inviare Adamsberg, Retancourt e Voisenet in Islanda, sulla sperduta isola di Grimsay, dalla quale li faper giunta partire in barca verso un'isolotto perennemente avvolto da pericolose nebbie. Sull'isola, poi, la Vargas fa sì che li attenda l'afturganga, essere malefico che abita l'isolotto e difende con le unghie e con i denti la "pietra tiepida", il cui tocco infonde energie vitali potenti. Gli ingredienti tipici, tipicizzanti lo stile e la poetica della Vargas sono in verità tutti presenti, in particolare lo spostamento della narrazione in un "altrove" immaginario e insieme reale (l'Islanda, funzione geografico-narrativa che in altri romanzi aveva la Normandia, ad esempio), che è teatro di vicende oltremodo perturbanti, in questo caso di atti di cannibalismo avvenuti anni prima sull'isolotto dell'isola di Grimsay. Gli altri ingredienti sono la svagatezza assoluta, distratta, di Admsberg, metaforizzata fortemente dall'immagine, più volte reiterata nel libro, dalla "matassa di alghe" che per lui rappresenta il caso complesso al quale sta lavorando tutta l'Anticrimine. Dunque cos'è che non va, questa volta? Qual'è la matassa inestricabile di alghe in cui si trova avviluppata la Vargas?Come abbiamo detto, non va innanzitutto il rapporto tra la Vargas e i suoi personaggi. Questa volta li tratta male, è gelida con loro. Organizza ad esempio un alterco molto grave tra Adamsberg e Danglard, risolvendolo in modo rapido nelle ultime pagine del libro, tenendo il lettore in sospeso fino all'ultimo. Poi struttura dei dialoghi tra i personaggi, freddi come stoccafisso norvegese appeso ad essiccare al pallido sole dell'estate scandinava, cosa che non era mai accaduta prima d'ora. Per sovramercato la Vargas intreccia una storia, parallela a quella della gita islandese, nella quale fa entrare tutto il tema della Rivoluzione francese e il personaggio di Robespierre, in un contesto narrativo che alla fine di tutto non trova integrazione sufficiente (almeno a mio parere). In sintesi la Vargas impegna tutto un gruppo di personaggi, efficaci, poetici, innovativi, così amorevolmente costruiti  nel corso di più di un decennio, facendoli questa volta recitare su un palcoscenico piuttosto traballante, probabilmente messo in piedi in modo troppo rapido e pensato in modo meno libero e creativo rispetto ai precedenti romanzi.Un peccato davvero, soprattutto per il fatto che la carica evocativa e perturbante messa in scena nelle altre opere del ciclo Adamsberg, qui viene meno, disperdendosi in dialoghi inutili, nonché in considerazioni storiografiche sulla figura di Robespierre, che mancano notevolmente di attrattiva. Attendiamo nuovi e meno "glaciali" sviluppi dal genio di questa grande scrittrice francese.  


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