Parliamo di un fungo di stagione che possono cogliere anche i poco esperti senza rischiare guai, le “Finferle”, riconoscibilissime e che non hanno corrispettivo velenoso.
Spendiamo due parole per questo fungo molto più saporito del parente (forse marito?) “finferlo” perché ne vale la pena ed è poco conosciuto. Il nome per i colti dell’argomento è “Cantharellus lutescens” e, contrariamente al finferlo è poco carnoso, a forma di imbuto, orlo frastagliato, col cappello comunicante con l’interno del gambo, di un bel giallo arancio (lutescens, appunto).
Il sapore è delicato, ma ha un forte profumo di bosco, molto invitante per chi ama i funghi, tant’è che in autunno, fino alle prime gelate, quando è il suo momento nei boschi di conifere, prima ancora di vederlo si sente l’odore.
È abbastanza piccolo e rende poco, quindi ne occorrono tanti (e tanta pazienza a raccoglierli) e la sua “morte” migliore è nel risotto, meglio se con una punta di cucchiaio di concentrato di pomodoro e un paio di bacche di ginepro (anche quelle si trovano nei boschi nello stesso periodo).
Quando sono molto grosse” sembrano dei gigli e allora riesce a farli fritti, in tempura.
Vale la pena di usare questa commistione nipponica non per amore esagerato dell’etnico ma perché è un metodo delicatissimo e poco invasivo di frittura, ed il sapore del prodotto viene tutelato.
Ecco una pastella semplicissima: 3 cucchiai di farina, 3 cubetti di ghiaccio e acqua minerale fredda e molto gasata q.b. a rendere la pastella della giusta fluidità. Moltissimo olio di arachide ben caldo e un tuffo rapido. Il risultato oltre che buono è anche molto coreografico. Sembrano fiori fritti.
P.s. piccolo particolare inquietante: dicono gli esperti micologi che la finferla sia “cesio captante”, quindi radioattiva. Quindi raccomandano di non esagerare.
inserito da Elena Bianco