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tempo e immagini: un rapporto strutturale 2

Da Peranzoni

Ho rivisto il post precedente e ho pensato di aggiungere alcune cose che mi erano sfuggite oltre ad aggiungere una nuova parte,.... ora penso che sia completo. In caso di ulteriori aggiunte le editerò separatamente, buona lettura.
Tempo e immagini: un rapporto strutturale
diGiulio Peranzoni
La realtà è un continuo fluire, come già gli antichi greci ci hanno insegnato nel loro famoso postulato "panta rei". In effetti ogni momento della nostra realtà è differente sia da quello precedente che da quello futuro. Un continuo rimescolarsi e ridefinirsi di aggregati diatomi. Noi stessi non siamo gli stessi di alcuni secondi fa. Di fronte a questo continuo cambiamento però, noi umani abbiamo inventato un mezzo per fermare il flusso temporale ricombinante della materia in quel dato momento: sono le immagini. La fotografia, per esempio, la si può interpretare come un fissaggio su carta dei segnali luminosi che la materia emette in presenza di una fonte di luce in un determinato momento.
Spingendosi ancora più a fondo nella riflessione, direi che un'immagine è un rallentamento del tempo di un fluire di agglomerati di atomi per mezzo di altri agglomerati di atomi con la sembianza di un supportoUna fotografia registra un dato momento del fluire della materia su un supporto, che in ogni caso è costituito sempre di materia che a sua volta cambia (deterioramento del materiale). Questo suo cambiamento però è molto più lento e non in accordo con il fluire reale, in confronto la velocità dello scorrere della realtà è molto diverso. La velocità dell'attimo presente è fulminea, il deterioramento di una immagine fotografata è molto più graduale.
L'uomo ha sempre cercato di fermare il tempo con le immagini, un'esigenza dovuta alla naturale paura della morte o meglio ancora la paura di non essere ricordati, di essere"resettati". I monumenti colossali delle figure dei faraoni e di tutti i potenti della storia sonoil tentativo di fermare il loro tempo. Con un trucco, appunto, hanno cercato di sopravvivereal loro decadimento biologico. Con le loro immagini registrate su una materia più lentanel cambiare e dunque nello sparire nel non essere (la pietra, il marmo, il bronzo o ilcolore sulla tela), hanno provato a sconfiggere il tempo che inesorabilmente stava percancellarli, è l'ancestrale istinto di ogni essere vivente, l'istinto di sopravvivenza.
Con l'invenzione della macchina fotografica, la registrazione della realtà è diventatameccanica e quindi molto più facile da ottenere. Simbolico è il popolarsi di immaginifotografate nei cimiteri della nostra era moderna. Prima erano solo i potenti che potevanoregistrare la loro immagine nel marmo o nel bronzo, ora chiunque può fermare la propriaimmagine e dunque di essere ricordato prima di polverizzarsi.Ma la differenza sottile tra una immagine che ferma un determinato momento eseguitacon una macchina e un'immagine disegnata è proprio la mente umana stessa. Unaimmagine fotografata è una registrazione meccanica, una disegnata è l'interpretazionedella realtà che il cervello dell'autore elabora e che registra su un supporto grazie alla suacapacità manuale.
Dunque la mente è un filtro della realtà percepita in quel dato momento e che nel casovenga registrato su un supporto prende l'aspetto di una immagine.Un' immagine disegnata è un rallentamento del tempo registrata su un supporto. Il nostrocervello percepisce continuamente gli stimoli esterni della realtà e li traduce in impulsineuronali, li interpreta e li memorizza. Se un dato momento della realtà può creareemozioni particolari, alcuni soggetti con particolari doti manuali acquisite nel tempo,possono decidere oltre che a memorizzarli in se stessi, di registrarli su supporti fisici. Ècosì che nasce l'esigenza di creare un'immagine.
L'abilità di produrre immagini è iniziata appunto nel volere 'fermare' gli stimoli esterni dellarealtà. Successivamente raffinando sia la mente che la tecnica di riproduzione delleimmagini, l'uomo ha anche cercato di fermare i propri pensieri 'interni', i propri sogni, larealtà astratta della propria mente, la sua fantasia.Ma l'aspetto più interessante di tutto questo discorso è il fattore tempo imprigionato nelsupporto usato per fermare la realtà. Fino ad oggi infatti, ogni supporto per un'immagineusato dall'uomo per fermare, anzi per rallentare il tempo della realtà in quel dato momento,ha, a sua volta, il destino di fluire verso il non essere, e cioè il suo degrado fisico. Tutta lamateria fisica è in continuo cambiamento, niente è immutabile, tutto scorre, appunto"panta rei" .
Come accennavo all'inizio, creando un immagine non si ferma il tempo di quel momentosu un supporto materico ma soltanto lo si rallenta, unendolo al deperimento materiale diquel dato supporto. Ora, con la realtà digitale, il paradigma millenario delle immaginicreate dall'uomo cambia, e con esso anche il fattore del tempo incorporato ad esse.Un immagine digitale non ha più un supporto materico unico per esprimersi e ripetere queldato momento. Un immagine digitale non è più ancorata alla materia ma è di fatto tradottain un algoritmo matematico, riproducibile in ogni momento su macchine sostituibili neltempo. Un algoritmo non deperisce, ha lo stesso tempo dell'esistenza dell'umanità che è ingrado di leggerlo. Forse si può azzardare a dire che finalmente il tempo della realtàregistrato in un immagine coincide ora con il tempo della esistenza dell'umanità. È unaspetto della vecchia questione ontologica: l'esistenza dell'universo esiste grazieall'esistenza dell'umanità che la può comprendere?
Comunque questa sua eternità è legata al suo collocamento nello spazio. In effettidigitalizzando un immagine non solo la si libera dal tempo di deterioramento del suosupporto e dunque dal rallentamento temporale in cui è collocata ma anche dal suomaterialismo.
Un immagine digitale ferma il tempo diventando eterna e contemporaneamente si astrae.La produzione di un immagine digitale è il risultato di diversi passaggi che portano allaformulazione di un algoritmo matematico in grado di riprodurla in ogni momento, inqualunque spazio e in brevissimo tempo. L'utensile usato non è più un pennello cheutilizza materia colorata, ma quel magico oggetto (mouse, penna ottica) che traduce ilgesto del suo creatore, la sua manualità in un algoritmo. Quando la mente umana decidedi produrre un immagine digitale catturando la realtà con la propria percezione oelaborandola all'interno dei propri neuroni (in questo caso una immagine di pura fantasia),il suo autore utilizzando come nuovo mezzo di produzione la tecnologia digitale, traducedirettamente i suoi stimoli mentali in un algoritmo astratto e senza tempo.Ma la sua esistenza, anche se astratta, dipende in ogni caso dal luogo in cui si puòtrovarla e ripeterla.
Il teorema di Pitagora non sarebbe giunto fino a noi e dunque conosciuto e applicato, senon fosse stato tramandato prima oralmente, e di fatto memorizzato nelle menti umaneper diverse generazioni, e poi scritto su supporti cartacei numerose volte. Il suo aspettomatematico permette di conoscerlo e ripeterlo come il suo autore l'ha creato la prima volta.Non è unico come un opera d'arte, è ripetibile innumerevoli volte, ma questo è statopossibile perché, oltre al sua natura di enunciato, è stato scritto e collocato in qualchemaniera su un supporto materico.Anche un immagine diventando digitale ora non è più un opera unica, e una volta tradottain un algoritmo matematico è ripetibile ogni volta su qualsiasi dispositivo digitale. Ma,appunto come il teorema di Pitagora, da qualche parte va copiata per poterla mettere infunzione.
Questo ci porta al grande problema della sua collocazione e reperibilità. Un problema difondamentale importanza nel nuovo paradigma digitale: l'archiviazione e dunque lareperibilità dei dati.Fin dall'inizio dell'era dei computer uno dei grandi problemi da risolvere, oltre alla velocitàdi calcolo è stato la capacità di memoria per l'archiviazione dei files. Ogni nuovagenerazione di computer era caratterizzata dalla scoperta di nuovi modelli in cui lavelocità, la miniaturizzazione e la capacità di memoria era migliorata dalle versioniprecedenti. L'industria informatica ha cercato da subito di trovare soluzioni valide perarchiviare i propri risultati: floppy disk, cd-rom, cd, dvd, HD esterni, server e ultimamente ilcloud-computing, la nuova soluzione per archiviare ogni tipologia di documento digitale.Con questa ultima soluzione si ripropone la stessa situazione dell'immagine digitalizzata ecioè la sua smaterializzazione: anche il contenitore di immagini astratte si astrae a suavolta. Non abbiamo più oggetti fisici, materici su cui trovare gli algoritmi che ci permettonodi ricostruire le immagini memorizzate, ma solo una abnorme nuvola di file contenuta inremoti nodi della rete. Di fisico ci rimane una magica "finestra" (monitor, tablet, pc) su cuiaffacciarsi e poter vedere (e un giorno forse entrare) i nostri elaborati.Ma quali garanzie abbiamo che i nostri preziosi algoritmi non vengano dispersi? L'era deldigitale è appena iniziata da qualche decennio, e miliardi di immagini sono già stateeditate in rete, fino a quando la capacità di memoria potrà contenerle e per quanto tempole potrebbe tenere? E ancora, se un immagine non viene letta per anni, è ancora presenteo un filtro censorio cancella i file che per lungo tempo non vengono attivati? E in questocaso chi è il censore che decide quali immagini possano rimanere nella storia e qualiinvece no?
Se la logica di salvare i file è la stessa dei diversi motori di ricerca, e cioè che ildocumento più "cliccato" ha più visibilità, si corre il rischio di salvare nel tempo le immaginipiù commerciali e popolari. Un Van Ghog digitale non avrebbe nessuna possibilità diessere conosciuto....


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