C'è stato un tempo, poi non così lontano come ci appare, nel quale la notte era uno spazio sottratto a questa civiltà. Se ne possono ancora percepire le tracce, di un tale passato, andando a spulciare racconti personali, opere artistiche, tradizioni e modi di dire; eppure, come spesso succede, la relazione che l'essere umano intrattiene con la notte e con l'oscurità è qualcosa di talmente intimo, talmente quotidiano e allo stesso tempo talmente immateriale, che bastano pochi decenni per seppellire le vecchie usanze, le abitudini, assai più profondamente di una qualsiasi inezia della storia della politica, o militare. Riusciamo appena ad intravvederla, l'estensione di quello che era "l'impero della sera", un impero sconosciuto, come lo ha chiamato, parafrasando Dylan, lo storico Craig Koslofsky, uno dei pionieri dello studio ... della notte.
L'altro grande riferimento a quest'argomento, rimane senza dubbio A. Roger Ekirch che ha illuminato, nel senso più ampio del termine, la notte premoderna, col suo straordinario libro "At Day’s Close: Night in Times Past" (2005). Ekirch ricostruisce le condizioni materiali e sociali dell'oscurità in Europa, e lo fa a partire da diari, testimonianze, fonti giuridiche ed opere creative di ogni tipo, risalenti al periodo che va dal Medioevo all'alba dell'era industriale. Comincia la sua storia parlando della tecnologia dell'illuminazione a disposizione dei nostri antenati, e che era, fino a tempi relativamente recenti, costosa e rudimentale. Andava bene qualsiasi combustibile: legna, torba, paglia, alghe essiccate, sterco e molti tipi di grassi animale. Anche le candele di cera d'api, o di spermaceti di capodoglio, erano a dir poco dei prodotti di lusso, nella maggioranza dei casi. Più diffuse erano le lampade ad olio, o a sebo, oppure le torce impregnate di resina o di grasso. La luce prodotta da tutti questi mezzi di illuminazione era tenue e si esauriva rapidamente, inoltre si accompagnava spesso a fumo e ad odori sgradevoli, insieme al rischio sempre presente di incendio, terrore secolare per le case e per le città.
Inoltre, in delle società malthusiane che si sforzavano di mantenersi sopra il livello di sussistenza, il costo dell'illuminazione, per una grandissima parte della popolazione, era proibitivo. Nel 1996, l'economista William D. Nordhaus ha calcolato che un abitante medio di Babilonia avrebbe dovuto lavorare per un totale di 41 ore, per poter comprare l'olio per una lampada che equivalesse ad una lampadina di 75 watt accesa per un'ora. AI tempi della guerra d'indipendenza degli Stati Uniti, un abitante delle colonie avrebbe potuto comprare la stessa quantità di luce, sotto forma di candele, con l'equivalente di 5 ore di lavoro. E nel 1992, l'americano medio può procurarsi la stessa quantità di luce, emessa da lampade fluorescenti, con meno di un secondo di lavoro.
Questo passaggio riflette il lento sviluppo, fino all'industrializzazione: le tredici colonie americane godevano, a quell'epoca, del maggio reddito del mondo, ed anche così, rispetto al passato remoto, aumenta di poco la sua capacità luminosa. Per allora, aveva cominciato anche ad emergere l'altro elemento della rivoluzione notturna: l'illuminazione urbana. Le prime città a poter contare su un sistema pubblico sono Parigi (1667), Amsterdam (1669), Berlino (1682), Londra (1683) e Vienna (1688). Prima, nel migliore dei casi, l'illuminazione di alcuni punti avveniva a spese della proprietà contigua, che se ne assumeva i costi. Inoltre, nell'Europa premoderna, l'assenza di forze regolari di sicurezza ben addestrate ed equipaggiate aveva fatto della città notturna un luogo incerto e pericoloso, nel quale l'ordine diurno veniva sovvertito, ogni notte: le strade diventavano l'impero dei ladri, dei predoni, delle prostitute, dei vagabondi e, in generale, di tutti i membri delle professioni poco rispettabili, degli individui ai margini della società.
Per quanto riguardava le campagne, la caduta della notte interrompeva il contatto con la città, le cui porte rimanevano chiuse fino all'alba. Ogni casa, fattoria, granaio si trasformava in un'isola sigillata in un mare di oscurità. Nelle strade di campagna, ai pericoli del banditismo si sommavano quelli dell'ambiente naturale: "Si stimava che in Inghilterra ci volesse un cavallo per ogni miglio di viaggio su una strada a pedaggio ben tenuta. Sicché, pe le 185 miglia da Manchester a Londra, bisognava avere 185 cavalli, ricoverati nelle stalle e nutriti, per poter fare i 17 cambi richiesti dalle diligenze che coprivano il percorso". A questo bisognava aggiungere le difficoltà derivanti dal circolare nell'oscurità su strade con scarsa, o nessuna, manutenzione. Il territorio effettivamente si disintegrava, e la presenza dello Stato, sempre quasi inesistente prima della nazione moderna, era una pia speranza.
Persino più suggestivo è l'universo ideologico, psicologico e simbolico cui queste condizioni davano luogo. La notte era uno spazio di paura, d'incertezza e di tentazioni che smentiva il confidare, da parte dell'uomo occidentale, nel suo dominio sul mondo.Un posto per demoni e streghe, come sottolinea Koslofsky, ma anche un cammino verso Dio: la notte oscura dell'anima. "Gli autori del primo periodo moderno ... ereditarono un'immagine ambigua della notte, nettamente negativa eccetto che dentro il mondo rarefatti dell'espressione mistica". Inoltre, la concezione premoderna della notte, e la stessa limitazione ai sensi e alla comprensione che implicava, diede luogo per secoli ad una ricchezza di temi culturali e simbolici che ancora in gran parte conserviamo, anche quando si è perso il loro significato o si è stilizzato fino a diventare irriconoscibile. E' il caso degli episodi comici o drammatici basati sugli errori di identità dovuti all'oscurità, di cui ci sono innumerevoli esempi, dai Racconti di Canterbury fino alla moderna commedia cinematografica, passando per Don Chisciotte. A questo si aggiunge la diversa percezione dell'intimità personale, spesso forzata dalla povertà materiale imperante. Non era poco frequente che i membri di una famiglia si ripartissero in una o due stanze, o che le condividessero con gli ospiti e perfino con estranei. In tali circostanze, la notte era anche, naturalmente, uno spazio per sottrarsi alla moralità ed al controllo sociale diurno.
Nonostante le restrizioni materiali, gli uomini e le donne della pre-modernità approfittavano delle ore di buio anche ai fini della produzione, come i gruppi di donne che si riunivano per tessere o per altre attività; oppure giovani artigiani. Nel mondo rurale, le dure condizioni di vita a volte obbligavano gli agricoltori ad estendere il loro lavoro alla notte per rispettare le scadenze stagionali e gli obblighi feudali. E non erano queste le sole attività. Si diceva, la notte fu propizia alla mistica, e anche alla produzione intellettuale. Buona parte dei diari e delle testimonianze che ci sono arrivati di quel periodo, sono stati scritti alla flebile luce di una fiamma, durante le ore notturne. Perché, di fatto, la "notturnalità" esercitava - ed esercita - un influsso sulla coscienza, favorendo un tipo di pensiero più introspettivo e fantasioso, visionario. E questo non solo perché la luce artificiale ha l'effetto di una droga.
No, a leggere Ekirch, c'è molto di più: prima della modernità e della luce artificiale ubiqua, il ritmo abituale del sonno era bifasico e segmentato. Ad un primo periodo di sonno, poco dopo il tramonto, il "primo sonno" di cui riferiscono tante tradizioni - seguiva un periodo di veglia, a volte singolarmente lucida, che poteva servire per riflettere sui sogni, per conversare, portare a termine qualche attività, scrivere, o anche uscire di casa. Simili ritmi di sonno, oltre a venire testimoniate dalle culture più disparate, sono stati osservati nelle società africane. Ma, verso la fine del periodo premoderno, l'estensione della luce artificiale, la nascita di una cultura della notturnalità socialmente accettata, la generalizzazione degli stimolanti come il tè e il caffè, e l'emergere di un'economia di fabbrica, cominciarono a mettere fine alle vecchie usanze. Il nuovo mondo avanzava verso l'attuale società di ventiquattr'ore di produzione, di consumo e di ozio, in un processo che beneficiava di una crescente produttività e a volte l'alimentava. Se siamo tentati di minimizzare gli effetti di questa rivoluzione della notturnalità, basta pensare al dibattito avvenuto in Spagna su qualcosa di relativamente minore come "l'ora di Franco".
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