Teneramente malato di ricordi

Creato il 15 dicembre 2011 da Antonio
Risalgono onde tumultuose di giorni apparentemente speciali che orologi lenti rintoccano, mare in burrasca e raffiche di vento sferzano vele strappate, quando la tempesta si placa lascia sulla spiaggia relitti, ad asciugare al sole inutile di un'altra giornata serena.
Le bucce di pomodoro nella minestra e smorfie di rifiuto, i furti di mollette colorate dai fili di bucato delle vicine per farne collezioni segrete, la frutta grattugiata che non mando giù, l'impasto dolce dei taralli che prendo dalle mani di mia nonna, il mio cane Gerri e un gatto tigrato più grande di me, quattro sedie e una coperta a fare un letto provvisorio per il riposo pomeridiano al mare, una fetta di pane con poche gocce di vino e zucchero, il formaggino sciolto nella pastina, la mia prelibatezza, le scarpe sporche di terra di mio padre al ritorno dal lavoro, il mosto dolce d'uva appena pigiata da mio nonno, non berne troppo che ti fa male, un albero di fico enorme ed un pozzo scuro, il profumo del pane appena sfornato, un vecchio accucciato nel camino vicino al fuoco e la grande madre che sorride delle stranezze di quell'uomo bambino che l'anima ha milionaria, le frittelle di mia zia che, bambina poco meno di me, inventa dolci e mi legge poesie che non capisco, i sanapi e la fritta dai campi selvatici e generosi, le dieci lire regalate dal vecchio maresciallo con la promessa di essere buono, il pane abbrustolito che solo mio padre sa fare, sul fuoco, poi bagnato e di nuovo sul fuoco, e la zuppa di grano di mia madre, i pezzetti di carne di cavallo con buccia di arancia e cannella, il lunghissimo richiamo della nonna del mio compagno di giochi, sirena alla fine di un turno di lavoro, che interrompe le scorribande per i campi, Biagiiiiiiiiiiiino....
Immagini acute di tavolozza cangiante, caleidoscopio di segni insepolti.
Che colore ha il tempo? Che sapore ha il tempo? Che odore ha il tempo?
Certi giorni sono lunghi come anni. Di anni corti come giorni diceva il poeta. Bizzarrie del tempo, che danza sulla musica della memoria, incurante delle cadenze del cuore.
Oggi è durato quarantatré anni. Ho bisogno di regalarmi qualcosa di speciale come le parole di Esenin, recitate da Carmelo Bene, che trascrivo, e la delicatissima trasposizione di Angelo Branduardi.

Confessione di un teppista
Non a tutti è dato cantare,
non a tutti è dato cadere
come una mela ai piedi altrui.
E’ questa la più grande confessione
che possa farvi un teppista.
Io vado a bella posta spettinato
col capo come un lume a petrolio sulle spalle.
Mi piace rischiarare nelle tenebre
lo spoglio autunno delle vostre anime.
Mi piace che i sassi dell’ingiuria
mi volino addosso come grandine di eruttante bufera.
Allora stringo solo con le mani più forte
la bolla dondolante dei capelli.
M'è così dolce allora ricordare
lo stagno erboso e il fioco stormire dell'animo
che un padre e una madre lontani,
cui non importa di tutti i versi miei,
cui son caro come il campo e la carne,
come la pioggerella che a primavera fa soffici i verdi.
Loro verrebbero a infilzarvi con le forche
per ogni vostro grido scagliato contro me.
Poveri, poveri genitori contadini!
Siete di certo diventati brutti,
temete Iddio e le viscere palustri.
Poteste almeno capire
che vostro figlio in Russia
è il migliore poeta!
Non vi brinava sul cuore quella sua vita,
quando coi piedi nudi si bagnava nelle pozze autunnali?
Ora invece cammina in cilindro
e scarpe di vernice.
Ma vive ancora in lui l’antica foga
del monello campagnolo
che ogni cosa vuol rimettere a posto.
Ad ogni mucca sulle insegne di macelleria
egli manda un saluto di lontano.
E incontrando in piazza i vetturini,
e ricordando l’odore di letame dei campi natali,
è pronto a reggere la coda a ogni cavallo
come lo strascico d’un abito nuziale.
Io amo la patria.
Amo molto la patria!
Anche se copre i suoi salici di rugginosa mestizia.
Mi sono cari i grugni imbrattati dei maiali
e nella quiete notturna la voce risonante dei rospi.
Io sono teneramente malato di ricordi d’infanzia,
sogno la bruma delle umide sere d’aprile.
Come per riscaldarsi il nostro acero
s’è accoccolato al rogo del tramonto.
Quante volte mi sono arrampicato sui rami
a rubare le uova dai nidi dei corvi!
E’ sempre lo stesso anche ora, con la sua cima verde?
La sua corteccia è dura come allora?
E tu, mio prediletto,
fedele cane pezzato?!
Per la vecchiaia ora sei stridulo e cieco
e vaghi nel cortile, trascinando la coda penzolante,
senza più ricordare dove sia la porta e dove la stalla.
Come mi sono care quelle birichinate
quando, rubato alla mamma un cantuccio di pane,
lo mordevamo insieme uno alla volta,
senza lasciar cadere una briciola l’uno dell’altro.
Io non sono mutato.
Non è mutato il mio cuore.
Come fiordalisi nella segala fioriscono gli occhi nel viso.
Stendendo stuoie dorate di versi,
sì, voglio dirvi una parola tenera.
Buona notte!
A tutti buona notte!
Più non tintinna nell’erba del crepuscolo la falce del tramonto.
Stasera ho tanta voglia di pisciare
dalla finestra mia contro la luna.
Azzurra luce, luce tanto azzurra!
In quest’azzurro anche il morir non duole.
E che importa se ho l’aria d’un cinico
dal cui sedere penzola un fanale!
Mio vecchio e bravo Pegaso spossato,
mi occorre forse il tuo morbido trotto?
Io sono venuto come un maestro austero
a decantare e celebrare i sorci.
E la mia testa, simile a un agosto,
si effonde in vino di capelli ribelli.
E voglio essere una gialla vela
per quel paese verso cui navighiamo.
Sergej Aleksandrovič Esenin (1895-1925), Confessione di un teppista, 1921.

«In questa vita, morire non è una novità,
ma, di certo, non lo è nemmeno vivere.
»
Sergej Aleksandrovič Esenin, da Arrivederci, amico mio, arrivederci, 1925.

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