Il tredici di settembre ricevetti dal legale della società Co.S.Pe.F del signor Antonio Furfaro, una intimazione a cancellare il mio post: “Gli indifferenti” in quanto difammatorio nei confronti del suo assistito. Secondo l’avvocato, Giorgio Torrigino, in quell’articolo avrei linkato articoli non veritieri sull’imprenditore. Gli risposi che la mia non era l’intenzione di chi vuole arrecare danno a qualcuno, ma quella doverosa di informare l’amministrazione sul conto di un imprenditore sul quale fioccano numerosi articoli che ne disegnano un ritratto non del tutto immacolato. Io ho semplicemente invitato alla prudenza. A Genova c’è una Onlus la Casa della Legalità che ha numerose informazioni sulla Co.S.Pe.F e non credo che i volontari si divertano a presentare esposti per il solo piacere di farlo. Neppure i giornalisti del Secolo XIX, Marco Grasso e Matteo Indice, autori del libro sulla ‘ndrangheta ligure: “A meglia parola”, pubblicato nel maggio 2013 dalla casa editrice De Ferrari, vorranno mettere a repentaglio la loro professionalità scrivendo e divulgando il falso. Dunque è su queste fonti che io ho tratto le mie informazioni. Durante il Consiglio comunale di Saint-Vincent è emerso che la gara d’appalto vinta da Furfaro è stata condotta in tutta regolarità: meglio per il Comune e meglio per l’imprenditore. Ma è bene ricordare ciò che scrivono i due giornalisti: “Che c’è un altro contesto, però, in cui il nome dell’impresario che lavora «per cambiare i soldi» viene accostato a tutt’altro ambiente. Nel 2001 i carabinieri del Ros licenziano un primo, dettagliato rapporto sulla criminalità organizzata genovese, in cui definiscono Antonio Furfaro fedelissimo del vecchio boss Antonio Rampino. E a parlarne sono due dei 40 indagati (il fascicolo in mano ad Anna Canepa – oggi magistrato della procura nazionale antimafia, allora pm a Genova – verrà poi archiviato): Giuseppe Savoca, detto Pino u Barberi, e Francesco Barbuto. Stanno cercando di introdursi in un appalto da sei miliardi di lire a Busalla e obbligare la “Oasi srl”, in particolare il direttore dei lavori Umberto Tota, a versare una tangente. Dalla conversazione si capiscono due cose. Primo, Savoca non sopporta i “genovesi”, e in particolare Mimmo Gangemi: «Mi ha mai dato qualcosa quando ero in galera? Tu comandi solo su patate e cipolle – grida intercettato, come se si rivolgesse genericamente proprio a Gangemi – e io a Busalla vengo, cago e piscio quando voglio». Secondo, per dimostrare la sua risolutezza, Savoca cita il caso di Antonio Furfaro, artigiano che prima del suo arrivo nessuno aveva avuto il fegato di «toccare», perché «legato a Rampino». Furfaro non c’entra nell’appalto di Busalla, ma per gli inquirenti quel dialogo dimostra la sua vicinanza al leader della ‘ndrangheta. Un rapporto di cui nessuno gli ha più chiesto conto quando, negli anni successivi, ha continuato a ottenere commesse pubbliche.” Ecco, è quel “tenere conto” che va ogni volta sottolineato, soprattutto quando si tratta di amministrazione pubblica e che invece viene troppo spesso messo da parte. Se poi nel frattempo c’è stata una salutare presa di distanza, molto meglio.
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