Valentina di Camillo sembra quasi la testimonial perfetta per una pubblicità dei vini abruzzesi. Ha gli occhi carichi di luce e un sorriso positivo come i propositi dei giovani come lei che stanno ottenendo di vendemmia in vendemmia risultati sempre più impressionanti. Ma ha anche un carattere forte, e la caparbietà necessaria per superare le difficoltà intrinseche del lavoro del vignaiolo e circostanziate anche da un periodo non felice per l’economia intera.
E’ proprio da una serie di “inciampi” che è scaturita la scelta di Tenuta i Fauri, imbottigliare e vendere i propri vini direttamente, mentre fino a qualche tempo addietro la famiglia di Camillo vinificava per poi vendere il proprio vino a imbottigliatori terzi. Ma dopo diverse “scottature” che hanno messo in seria difficoltà l’azienda è arrivata la decisione di gestire l’intera filiera e realizzare i propri vini, forti anche delle esperienze maturate da Valentina e dal fratello Luigi, nel frattempo diventato enologo alla scuola di Conegliano e formato sul campo di tante cantine di livello sparse nel nord-est italiano. Così oggi con tanto impegno delineano vini precisi e capaci di mediare fra tradizione e modernità, per emergere col livello qualitativo in un’area, quella di Chieti, dove il grosso dei vigneti va ad alimentare i capienti serbatoi delle grosse cantine. Sono entità di forte peso che determinano, nel bene e nel male, le sorti e l’immagine di questa provincia, che rappresenta uno dei maggiori centri di produzione vinicola italiana, capace di esprimersi anche a livelli di grande qualità artigiana, come dimostrano Tenuta I Fauri ed altre piccole aziende che stanno facendo crescere questo territorio, così ricco e sfaccettato di territori molto diversi al suo interno.
Il nuovo corso dell’azienda si poggia su un parco vigneti di circa 35 ha, in parte in affitto, dislocati in differenti zone del vasto territorio teatino. E la prima cosa che fa Valentina quando ci incontriamo è proprio farmi salire sulla sua auto e portarmi a visitare alcuni dei suoi vigneti. Il primo era storicamente della famiglia, in contrada—-, dove una bella cascina ristrutturata li accoglie ancora nei giorni di festa, ed i vigneti scendono lungo filari coltivati a casarsa, una disposizione scelta anni fa quando ancora era tutto un esperimento in azienda, e si voleva cercare un compromesso tra la pergola abruzzese, più dispendiosa in termini di manutenzione e lavorazioni, e la spalliera. Credo di non avere mai incontrato prima questo tipo di impianto, che assomiglia a un cordone speronato, ma molto alto sul terreno, come un tendone appunto. Lungo i fili superiori si crea un folto intreccio di tralci, in particolare col “bisbetico” montepulciano, che mi stupisce per la disparità di forma e dimensioni che attribuisce ai propri grappoli, pure sulla medesima pianta.
Oggi in azienda sono presenti ancora vecchi impianti a pergola, mentre i più recenti sono a cordone speronato, sia per il montepulciano che per i bianchi pecorino, passerina, trebbiano e chardonnay.
Altro appezzamento storico, ma che non visitiamo, è quello di Francavilla a Mare, posto su terreni collinari sabbiosi e leggeri, affacciato sull’Adriatico e in grado di dare espressioni piuttosto eleganti del montepulciano.
Arriviamo invece ad Ari, dove ha sede la cantina di vinificazione e incontriamo il padre di Valentina, Domenico Di Camillo, appena sceso dal trattore dopo alcune lavorazioni in vigna, e con lo sguardo corrucciato a scrutare un cielo grigio che, mentre parliamo, inizia a far cadere alcuni goccioloni, che evidentemente speriamo non si trasformino nella temuta grandine (e fortunatamente sarà solo un temporale di pioggia). Facciamo un giro in cantina, dove albergano i contenitori in cemento e acciaio per le fermentazioni, e alcune botti per l’affinamento di una parte dei rossi.
E’ bello ascoltare Valentina e percepire il suo entusiasmo per un’avventura che ogni giorno mette alla prova lei e la sua famiglia, ma che è evidente regalarle anche tante soddisfazioni. Una di queste viene anche dal punto vendita aziendale, posto sulla strada che collega Chieti a Francavilla, in una posizione di passaggio che consente facilmente di fermarsi per acquistare un po’ di vino, e sembra riscuotere successo dato che quasi metà del vino imbottigliato viene assorbito proprio dal mercato locale, in virtù anche di prezzi allettanti, specie se rapportati alla territorialità e alla qualità dei prodotti offerti.
Proprio tornati nella sala degustazione del punto vendita assaggiamo insieme quasi tutti i vini della produzione de I Fauri.
Il Trebbiano d’Abruzzo 2014 è fresco e di bella matrice salina, con salvia e buon frutto bianco, estivo e affatto banale. Il Passerina 2014 è tra quelli più sorprendenti dell’annata scorsa, ora in una fase golosissima, con frutti dolci tropicali ad invitare in una beva dove la rotondità del frutto è resa succosa da un bel connubio di sapidità e freschezza, doti che non è comune ottenere da questo vitigno.
Il Pecorino 2014 mostra tutte le doti del varietale nella fase giovanile, con sbuffi di mentuccia e note di ananas fresco e lime. Al palato bel corpo e tensione acida nervosa, con finale saporito e lungo. Gusto vivo e un grande potenziale, confermato dall’assaggio del Pecorino 2013, molto diverso in virtù di un’annata molto più equilibrata e un anno di vetro in più sulle spalle, che gli dona una complessità e una rotondità maggiore. Le espressioni di frutto arrivano all’esotico fresco di mango, con agrume giallo e ancora buoni cenni mentolati. Grande al palato dove regala tutta la sua ricchezza in un amalgama perfetto di corpo, sale, acidità e frutto. Lunghissimo e appagante. Un vino da segnarsi e non lasciarsi sfuggire.
C’è poi un prodotto che è uno sfizio di famiglia, per la passione verso le bollicine che ha portato a tentare la strada dello spumante. Tante prove, con la complicità e l’aiuto di un amico veneto produttore di Prosecco, che li ha aiutati sul lato tecnico ed offre le strutture per la spumantizzazione, in autoclave, quindi secondo il metodo Charmat. Ma la cosa curiosa di questo Tenuta I Fauri Brut è la base, in prevalenza da uve pecorino, capace di dare tanta acidità e sostanza, ma da gestire, e risulta appropriata la scelta di unirlo a una quota di chardonnay, che ne stempera e addolcisce i profumi. Bolla non aggressiva e piuttosto fine, un aperitivo disimpegnato e piacevole con bel frutto giallo, note agrumate e finemente erbacee, con sfumature che quasi farebbero pensare a un metodo classico. Un esperimento divertente e ben riuscito.
Seguiamo le gradazioni di colore con l’Albarosa 2014 (IGT), rosato da uve montepulciano, che svolge la funzione di vino estivo e brioso, con frutto rosso fresco, fiori in evidenza e un cenno di erbe aromatiche piacevole, dalla beva disinvolta e rinfrescante. E’ un po’ l’alter-ego del Cerasuolo d’Abruzzo Baldovino 2014, che gioca invece il ruolo tradizionale di questa tipologia in regione. Il cerasuolo è tradizionalmente il vino di consumo, non una bevanda leggera, ma dotato di nervo e struttura. Qui il frutto è più maturo e generoso, con frutti scuri dolci e accenni di radici, con bella trama acido-sapida nel finale e un lungo gusto che pervade il palato, ripulito anche da un soffice velo tannico. Centratissimo sulla tipologia.
Un altro gioco divertente della famiglia Di Camillo è il Graffio Nero 2014, un Montepulciano vinificato mantenendo una parte di carbonica, per realizzare un accattivante profilo gustativo. I profumi sono tipici, ciliegia e amarena in evidenza, fiori scuri e note vinose. L’attacco in bocca è inusuale, con buona rotondità sferzata da una fine effervescenza, che graffia il palato insieme al tannino, ben modulato ma presente, riuscendo nello scopo annunciato dall’etichetta. Mi ricorda certi Lambrusco di Castelvetro, e svolge sicuramente un buon compito con una merenda di salumi, ma lo azzarderei anche con un fritto di paranza.
Mi piace molto lo stile fresco dei due Montepulciano in purezza. Il primo è il Baldovino 2014 Montepulciano d’Abruzzo, dai terreni di Villamagna ed Ari. Viene vinificato con circa 6 giorni di contatto con le bucce, per poi affinare solo in acciaio per 5 mesi. Mantiene colore vivo e piuttosto trasparente, profumi nitidi e freschi di frutti rossi e neri con belle note floreali e sfumature terrose. Al palato scivola con una bella materia dove il tannino è presente con garbo, ben coeso con freschezza e un calore mai sopra le righe. Vino conviviale e pregevole per la centralità del frutto e il finale saporito.
Il secondo esempio notevole è l’Ottobre Rosso 2013, etichetta (molto bella) scelta da Domenico di Camillo con ironici toni rivoluzionari, col proposito di avere un montepulciano che senza l’uso del legno sapesse comunque comunicare la ricchezza tradizionale del vitigno elevandola sul piano dell’eleganza. Le uve vengono da tre contrade diverse, e macerano in fermentazione per circa 10 giorni, per poi restare in contenitori di acciaio per un anno prima dell’imbottigliamento. Dal colore scarico e trasparente da sembrare quasi un sangiovese si intuisce una bevuta fresca e coinvolgente, e così si presenta al palato, succoso di frutti rossi, definito, agrumato e con un tannino ben integrato in un fluire naturale e godibile. E non manca definizione al naso, dove i profumi sono eleganti e nitidi, dai frutti di bosco alle radici, con sfumature mentolate pregevoli, con sensazioni che tornano lungamente al gusto, davvero un bel bere.
Infine completa la gamma il Santa Cecilia 2012, Montepulciano d’Abruzzo con un saldo di Cabernet Sauvignon e Sangiovese, dalle vigne di Francavilla al Mare, con impianto a tendone di 25 anni di età, posto su terreni sabbiosi. In vinificazione anche in questo caso le macerazioni non vanno oltre i 10 giorni, ma segue poi un affinamento in barriques per un anno, cui se ne aggiunge un successivo in bottiglia prima della vendita. Vino dal gusto più internazionale che mette in evidenza note di tabacco e radici a completare il profilo robusto del Montepulciano, qui più denso nel colore come nella materia, che in bocca avvolge con tannino ricco e ben levigato.
Valentina ci tiene a farmi provare un prodotto che è la riprova del forte legame col territorio e la tradizione locale. E’ il Vino cotto, ottenuto dal mosto bollito per una giornata intera e poi fatto fermentare, mantenendo un certo residuo zuccherino finale. E’ una bevanda dolce e golosa, dai tratti di dattero, agrumi canditi, fichi secchi e castagne, da gustare a fine pasto o la sera davanti al camino. Un prodotto che è nella storia e nel gusto abruzzese, che chiude il cerchio di una produzione davvero sorprendente, anche in virtù di prezzi che invitano davvero a fare scorta e godere di queste bottiglie, dove traspare l’animo e il carattere teatino, con grande eleganza e la garanzia di una bevuta franca e appagante. Un grande esempio, lo ripeto, di come i giovani in questa regione si stiano rimboccando le maniche e realizzando vini sempre più buoni.
[mi scuso per eventuali inesattezze o errori, avendo scritto il post solo secondo i miei ricordi, senza l’ausilio dei miei appunti purtroppo dispersi insieme al mio taccuino]
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