Breve trama:
Da quando ha l’età per essere attratto da una ragazza, Colin Singleton , ex bambino prodigio, forse genio matematico forse no, fissato con gli anagrammi, è uscito con diciannove Catherine. E tutte l’hanno piantato. Così decide di inventare un teorema che preveda l’esito di qualunque relazione amorosa. E gli eviti, se possibile, di farsi spezzare il cuore un’altra volta. Tutto questo nel corso di un’estate gloriosa, passata con l’amico Hassan a scoprire posti nuovi, persone bizzarre di tutte le età, ragazze speciali che hanno il gran pregio di non chiamarsi Catherine.
Non so definire se questo libro mi è piaciuto oppure no. Mi ha lasciato con una strana sensazione e molte domande nella testa. Ogni volta che leggo un libro cerco di estrapolare un messaggio, una “morale” da applicare poi nella mia vita. I libri sono gli insegnanti più pazienti, diceva Charles W.Eliot.
E questo romanzo, che secondo me, è il meno considerato di John Green, ha molti messaggi da trasmettere. Io ho scelto quelli che mi sono piaciuti di più e voglio condividerli con voi.
Il libro si apre con Colin che è stato mollato dalla sua diciannovesima Catherine e piange di dolore.
Vorrei soffermarmi su una frase in particolare e riflettere su questa: << Voleva piangere, ma invece sentiva solo un dolore dietro il plesso solare. Piangere è aggiungere qualcosa: piangere è tu-più-le-lacrime. Ma la sensazione che Colin provava era l’esatto -e orribile- contrario del pianto. Era tu-meno-qualcosa.>>
Tu-meno-qualcosa. Se ci penso, la maggior parte delle volte che si piange è perché si è perso qualcosa o qualcuno di caro. Pensandoci bene le lacrime mi appaiono come il giusto compenso per qualcosa che ci è stato tolto. Mi spiego meglio: è come se, per colmare il vuoto lasciato dalla perdita si iniziasse a piangere per riempire il “buco”.
E’ così strano che una cosa che non c’è, faccia molto più male di qualsiasi dolore fisico.
Quindi, appena qualcuno ci abbandona, siamo Tu-meno-qualcosa. Poi le lacrime ci fanno compagnia e diventiamo tu-più-le-lacrime.
La tematica che mi ha appassionato di più, però, è il bisogno di Colin di sentirsi importante e di diventare qualcuno nella vita.
Chi non ha mai desiderato di passare alla storia? Di essere migliore di chiunque altro? Di diventare un Einstein?
Beh, io, come Colin, vorrei diventare qualcuno un giorno e scoprire qualcosa che rivoluzionerà la storia. Anche io voglio il mio momento Eureka (in greco, ho trovato), come lo voleva Colin.
Inizio con il riportarvi una frase del libro, dalla quale partirà la mia riflessione: <<Che senso ha la vita se almeno non provi a fare qualcosa di significativo? E’ un gran bel controsenso, credere che la vita sia un dono di Dio e pensare che l’unico suo scopo sia guardare la tivù.>>
All’ inizio questa frase mi ha fatto ridere, ma poi ho pensato a molte persone che conosco che passano la vita a non fare nulla di utile per la comunità. Non lavorano. Non studiano. Non fanno volontariato. Sono egoiste.
Io mi sentirei in colpa moltissimo se fossi come loro: non riuscirei mai a non fare niente nella vita perché penso seriamente che la vita sia un dono di Dio e non vada sprecata.
Infatti cerco di impegnarmi in tutto e spesso, come Colin, sento che questo non è abbastanza. Non è abbastanza per me. Vorrei fare di più: essere considerata “una grande” da tutti e ammirata per quello che faccio.
Colin conosce Lindsey che gli dice queste testuali parole: << Io personalmente trovo che contare qualcosa sia un concetto da quattro soldi. Io voglio solo volare sotto il radar, perché quando cominci a volare in alto, è allora che ti sparano. >>
E’ allora che ti sparano. L’invidia è una brutta bestia, diceva mia nonna.
E’ strano come la nostra vita dipenda completamente dagli altri: una persona può essere esaltata o annientata dall’ opinione della gente. Affermiamo spesso che quello che dicono gli altri “non c’importa”, ma alla fine non è mai vero. C’importa eccome. Tutti vogliamo essere apprezzati e amati, perché la considerazione del gruppo è diventato quasi un bisogno esistenziale.
Alla fine, però, l’autore ci trasmette una cosa molto importante, dal mio punto di vista: tu sei tanto importante quanto lo sono per te le cose che fai.
Nel senso che, anche se non sarai mai Einstein o Barack Obama, se fai quello che ti piace con vera passione e ci metti tutto te stesso, quella cosa per te sarà importante e tu assumerai importanza, perché credi seriamente che quello che fai è utile per te e per la comunità e ti dà soddisfazione.
Non sarai Unico, famoso e invidiato.
Ma ti sentirai non-unico nel miglior senso possibile (è l’ultima frase del libro…chiedo venia per il mini spoiler).
Un altro messaggio di questo libro è l’imprevedibilità del futuro: il passato è una storia logica, ma il futuro è inutile progettarlo. Il futuro è infinito, inconoscibile ed è bellissimo appunto per questo suo alone di mistero.
Le cose migliori che ci accadono sono proprio quelle che non abbiamo progettato.
Bisogna solo vivere e lasciare che succedano nel momento giusto.
Chissà dove saremo fra 20 anni. Chi lo sa. E come diceva Battisti: lo scopriremo solo vivendo!
Il titolo originale in inglese è “AN ABUNDANCE OF KATHERINES”
E voi, Lettori Estinti, che ne pensate di queste tematiche?
Chi ha letto il libro, ha riflettuto su altri temi?