Grigio è l'albero d'oro della vita, e la teoria è verde
- Il problema della prassi, come evergreen di una critica tronca del capitalismo, e la storia delle sinistre -
di Robert Kurz
SOMMARIO: *1 - Il malessere nella teoria * 2- Adorno a proposito della prassi ridotta e della "pseudo-attività" * 3 - "Prassi teorica" e interpretazione reale del capitalismo * 4 - Trattamento della contraddizione e "prassi ideologica" * 5 - Capitalismo come trasformazione del mondo: critica affermativa e critica categoriale * 6 - Teoria della struttura e teoria dell'azione * 7 - "Modernizzazione ritardata" e il postulato di una "inseparabile unità" fra teoria e prassi * 8 - Ragione strumentale * 9 - Il punto di svolta della teoria dell'azione. Marxismo occidentale e "filosofia della prassi * 10 - Il *marxismo strutturalista" ed il politicismo della teoria dell'azione * 11 - Il pendolo di Foucault. Dal marxismo di partito all'ideologia di movimento * 12 - Il ritorno del "soggetto". Metafisica dei diritti umani e falsa autonomia * 13 - Noi siamo tutto. La miseria del (post-)operaismo * 14 - Dalla capitolazione dell'ideologia autoreferenziale del movimento al nuovo concetto della "prassi teorica *
8. Ragione strumentale
In quanto "forma di coscienza reificata", la "prassi teorica" del marxismo di partito, delle diverse tendenze, era una forma di "ragione strumentale" (Horkheimer, 1947). Nel nome del postulato di una prassi di "trasformazione del mondo" categorialmente immanente, la "prassi teorica" venne trasformata in un mero strumento per dei fini prestabiliti a priori, o quasi, in sé, che non potevano più essere sottomessi ad alcuna riflessione. Questa riduzione della teoria alle relazioni prestabilite del mezzo con il fine, è stato il risultato inevitabile di tutto il pensiero nella forma moderna della teoria, che finisce sempre per estinguersi nel positivismo, insieme alla dicotomia esistente fra la riflessione con una base nella teoria della struttura e la riflessione con una base nella teoria dell'azione, nel caso non venga trasformata in critica categoriale. Proprio in quanto "scienza positiva" (istituzionalizzata) con il marchio di Engels, il marxismo di partito doveva percorrere la strada di tutte le teorie borghesi, come afferma Horkheimer nella sua prefazione ad "Eclissi della ragione. Critica della ragione strumentale": "La ragione arriva così a negare la sua stessa qualità assoluta di ragione in senso enfatico, arrivando ad intendersi solo come mero strumento" (Horkheimer, 1967).
Ma in che senso, la "ragione", intesa come pensiero riflessivo, diventa "mero strumento" della Modernità? Il carattere strumentale proviene dal carattere interpretativo della forma della teoria, nella misura in cui questa diventa la fornitrice di idee per l'interpretazione reale del capitalismo, per il trattamento delle contraddizioni e per la trasformazione interpretativa del mondo, come "competenza" positivista. La predisposizione di modelli di interpretazione per la gestione della matrice a priori e della sua auto-contraddizione in processo è di per sé strumentale nei confronti di un fine presupposto a priori, nel processo del fine in sé della relazione di scissione-valore. Va fatta una distinzione analitica fra questo ed il carattere di legittimazione della "ragione" riguardo al fine in sé, poiché, in quanto tale, è ugualmente interpretativo, e conseguentemente strumentale ad un altro livello di riflessione, ossia, al livello di costituzione di tale relazione. Nella sua riproduzione teorica meramente interpretativa, tuttavia, non si può riconoscere la "riflessione" di questa relazione, poiché significherebbe rendere la relazione feticistica in quanto tale, oggetto del pensiero, cosa che generalmente è possibile solo come critica di tale oggetto. Tuttavia, una volta che riproduce questo oggetto come forma di pensiero/modo di pensiero e come concettualità, e quindi potendo essere in sé solo leggittimatrice, la forma di teoria moderna rimane strumentale anche a livello di costituzione. Per questa ragione, nella "prassi teorica", come parte integrante delle relazioni di riproduzione, si fondono il momento fondamentalmente leggittimatore ed il momento positivista-interpretativo continuato. Qui, appare anche chiaro che l'intera relazione di "utilizzo", o "trasformazione" della teoria, fa parte di per sé dell'interpretazione reale del capitalismo e, conseguentemente, presenta di per sé carattere strumentale, poiché "l'utilizzo" presuppone sempre leggi quasi naturali che devono essere riconosciute.
Con il suo concetto di "ragione strumentale", Horkheimer arriva al centro nevralgico del problema, anche se non perviene in alcun modo ad una critica categoriale della moderna costituzione feticistica. In realtà, egli tematizza il problema molto in generale: "Questo tipo di ragione può essere chiamata ragione soggettiva. Essa ha a che vedere essenzialmente con mezzi e fini, ed anche con l'idoneità dei modi di procedere verso obiettivi più o meno accettati e che suppostamente si intendono per sé soli. Ad essa poco importa se gli obiettivi in quanto tali siano ragionevoli" (Horkheimer, 1947). Ma Horkheimer rimane nella determinazione superficiale di una relazione fra mezzo e fine, senza guardare alla "natura" storica o all'essenza di quegli obiettivi, o fini, "accettati", senza analizzare il loro statuto categoriale come matrice a priori della riproduzione, e senza indagare per quale motivo la "ragione", in quanto "ragione soggettiva", venga degradata, in questa costituzione del pensare e dell'agire, sotto le condizioni di un mero strumento di un fine ciecamente presupposto.
Horkheimer fallisce la critica categoriale, o "critica di second'ordine", perché afferma l'altro lato della stessa relazione, la mera riproduzione affermativa della falsa oggettività, come "ragione oggettiva", che "mai" sarebbe servita da base a tutta la filosofia e che ora sarebbe stata liquidata positivisticamente: "I grandi sistemi filosofici, come quelli di Platone e di Aristotele, la scolastica o l'idealismo tedesco, avevano il loro fondamento in una teoria oggettiva della ragione. Il loro obiettivo era quello di sviluppare un sistema completo, o una gerarchia di tutto l'essere, incluso l'essere umano ed i suoi fini. Il grado di ragionevolezza della vita di un essere umano poteva essere determinato conformemente alla sua armonia con tale totalità. La sua struttura oggettiva, e non solo l'essere umano ed i suoi fini, doveva essere il criterio per ogni idea ed ogni azione individuale" (Horkheimer, id.). Da un lato, qui viene unificata in maniera trans-storica una filosofia della "ragione oggettiva" che, a prescindere da tutti i momenti di continuità, appartiene a costituzioni storiche totalmente distinte, e viene confrontata astrattamente con il positivismo ed col pragmatismo della "ragione strumentale" soggettiva. Dall'altro lato, non si riesce a considerare che si è sempre trattato della (rispettiva) "ragione oggettiva" delle relazioni feticistiche, trattandosi, nella modernità, di riproduzione teorico-filosofica della falsa oggettività di queste relazioni, svolte da un pensiero oggettivante.
Al constatare che "questo concetto di ragione" non avrebbe mai "escluso" la "ragione soggettiva", ma l'avrebbe determinata come "espressione ristretta di una razionalità più vasta", Horkheimer designa solamente il dilemma della matrice e dell'intenzionalità a priori, inscritto in tutto il pensiero ed in tutta l'azione feticisticamente costituiti, dilemma che si riproduce idealmente nella moderna dicotomia della teoria delle struttura e della teoria dell'azione. E quando sottolinea che il postulato della "ragione oggettiva" sarebbe ancora volto a determinare riflessivamente gli stessi obiettivi e fini, invece di presupporli ciecamente e "formalizzare" strumentalmente il pensiero, Horkheimer sta dimenticando che, dal punto di vista storico, si tratta proprio della riproduzione affermativa dell'oggettivazione feticista, "come fine in quanto oggettivo", riproduzione cui l'intenzionalità definita come "ragione soggettiva" doveva essere sottomessa. La differenza rappresentata da Horkheimer consiste semplicemente nel fatto per cui, solo nella costituzione e nell'imposizione storica delle relazioni feticistiche moderne, la "oggettività" di questa viene giustificata e postulata come "ragione oggettiva", man mano che, continuando, essa si può consolidare nella quotidianità presupposta del "lavoro e vita", circa la quale un'ulteriore riflessione deve apparire non necessaria e addirittura pericolosa.
In un certo qual modo, Horkheimer fa menzione di questo, ma non riguardo al contesto interno, ed in modo non-critico: "Fondamentalmente, la crisi attuale della ragione consiste nel fatto che il pensiero, ad un determinato livello, o ha perso la capacità di concepire una tale oggettività in generale, o ha cominciato a contestarla come se essa fosse un'illusione" (Horkheimer, id.). Certo, a dire il vero è proprio così: nel corso del suo processo di imposizione, la riflessione meramente riproduttrice di oggettività feticistica, come "ragione oggettiva", si estingue nella misura in cui si "realizza" come trasformazione capitalista del mondo; e la riflessione continuata a questo livello, viene contestata come "illusione", proprio perché non si può più dare impulso alla ragione moderna costituita come relazione feticistica, in quanto è già presupposta come "necessità naturale" e come "legge oggettiva". Questo proprio perché non si trattava di una "concezione" libera nei suoi presupposti, nel senso dell' "architetto", bensì di legittimazione ideale di un processo di costituzione essenzialmente cieco, nella cui forma di percorso questo pensiero leggittimatore in realtà entra attivamente, ma non nel senso di costituire un presupposto per i concetti intellettuali. E proprio per questa ragione che lo stesso pensiero oggettivante, nella sua identità formale con l'agire costituito feticisticamente, "viene a sé" ancora come "ragione strumentale", come semplice mezzo per il "fine" della riproduzione delle idee, mancante ancora una volta di "autocertificazione".
Horkheimer pretende ancora di capire il dilemma nel senso del concetto della Dialettica dell'Illuminismo, un po' come nostalgia illuminista: "Assegnare alla ragione una tale posizione subordinata è in aperta contraddizione con le idee dei precursori della civilizzazione borghese, dei rappresentanti intellettuali e politici della classe media ascendente, i quali dichiaravano unanimamente che la ragione svolge un ruolo di primo piano nella condotta umana" (Horkheimer, id.). Ma il risultato non può essere misurato dai suoi propri presupposti, né l'effetto positivista e pragmatico può essere criticato in nome della "ragione oggettiva" che è la sua stessa causa. Questo diventa ancora più chiaro quando Horkheimer comincia ad intonare un'apologia triviale di Kant: "In realtà, sarebbe commettere un'ingiustizia contro Kant, se lo si responsabilizzasse per questo sviluppo. Egli ha reso la conoscenza scientifica dipendente dalle funzioni trascendentali, non dalle funzioni empiriche. Non ha liquidato la verità equiparando le azioni pratiche di verifica, né ha insegnato che significato ed effetto siano identici. In ultima analisi, ha tentato di stabilire la validità assoluta di determinate idee di per sé, ossia, in funzione delle proprie" (Horkheimer, id.). Ma il trascendentalismo di Kant è precisamente la cifra filosofica della relazione di scissione-valore, e questa "verità" negativa in realtà non poteva essere equiparata "alle azioni pratiche di verifica", né poteva essere determinata come mezzo per altre cose, ma solo come il fine supremo, come fine in sé "del soggetto automatico". La "verità" kantiana riproduce idealmente la "validità assoluta" della moderna costituzione feticistica, cioè, il significato di quello che dev'essere "stabilito " e che non può essere identico al mero "effetto" pratico. Il soggetto del trascendentalismo kantiano include la "ragione oggettiva" della matrice a priori e la "ragione soggettiva" del pensare e dell'agire da essa costituita. Come tale, Kant può benissimo essere "responsabilizzato per un simile sviluppo", ossia, può essere corresponsabile per le motivazioni della riproduzione nella "prassi teorica". Le sue due critiche formano il modello filosofico di tutta la critica affermativamente immanente da allora, nella quale viene rappresentata la relazione e la contraddizione in processo delle "funzioni trascendenti ed empiriche", come trattamento storico della contraddizione.
E' la moderna dialettica soggetto-oggetto, che in Kant sorge per la prima volta del tutto ben realizzata, cioè, l'oggettivazione del mondo come interpretazione o trasformazione capitalistica del mondo e l'auto-oggettivazione dei soggetti costituiti da essa; la "forma soggetto" borghese costituisce una "ragione soggettiva" come agente della "ragione oggettiva" capitalistica e, conseguentemente, come strumento o mezzo di questa per i modelli d'azione prestabiliti dalla matrice a priori. In certo senso, Kant ha pensato fino all'estremo il positivismo e il pragmatismo, proprio perché presupponeva già il carattere assoluto dei suoi postulati, che hanno finito per diventare la "coercizione muta" pratica. Per la critica categoriale, non importa opporre, alla gloria della sua propria costituzione, come "ragione oggettiva", la "ragione soggettiva" strumentale, come presunta forma di decadenza. Al contrario, importa liberare la propria intenzionalità sociale dalla "ragione oggettiva".
Tuttavia, questo è possibile solo se l'intenzionalità, a sua volta, non dev'essere mobilitata immediatamente nella costituzione feticistica offuscata, così come avviene già anche nel positivismo e nel pragmatismo, e come viene constatato da Horkheimer, senza che egli riesca a scoprirne la ragione: "Sotto l'aspetto formalista della ragione soggettiva, come sottolinea il positivismo, viene evidenziata la sua mancanza di relazioni con un contenuto oggettivo; nel suo aspetto strumentale, come viene enfatizzato dal pragmatismo, viene sottolineata la sua capitolazione davanti ai contenuti eteronomi. La ragione è totalmente legata al processo sociale" (Horkheimer, id.). L'offuscamento della costituzione feticista positivizza le categorie, cosa che poi appare, paradossalmente, come mancanza di relazioni di intenzionalità che abbiano un contenuto oggettivo suscettibile anche di riflessione, contenuto che ha già assunto l'ovvietà di una base naturale; e, nel pensiero e nell'azione strumentale di provenienza pragmatica, l'eteronomia di tale contenuto oggettivo diventa la condizione pratica, il criterio del "successo".
Una liberazione dell'intenzionalità già significherebbe confrontare, con la sua degradazione e con la sua prigione, la "ragione oggettiva" della costituzione feticista, ed avere come obiettivo quello di rompere questa gabbia. Decidere sull'uso delle risorse sociali comuni secondo le necessità, sarebbe esattamente il contrario di un'assolutizzazione della "ragione oggettiva", e inoltre non sarebbe neanche una qualche "ragione soggettiva" ad implicare ancora la sua propria oggettività. Ad Horkheimer sarebbe piaciuto liberare la "ragione soggettiva", in quanto tale, dal suo carattere strumentale, proprio per evocare ancora una volta la costituzione oggettiva della stessa ragione soggettiva e dichiararla così come rimedio, quando in realtà invece si tratta delle due facce di una stessa relazione che, nel processo storico, si fondono e che per tale ragione nascondono il loro carattere strumentale congiunto. Se questa problematizzazione in Adorno si mantiene ancora aperta fino alla fine, in Horkheimer si chiude completamente.
Ironicamente, la metafisica della legalità del marxismo del movimento operaio e del "socialismo reale" appare come la "ragione oggettiva" di Horkheimer legittimata in Kant, al punto che entrambe si confondono e condividono le stesse radici. In un certo senso, l'intenzione di "modernizzazione ritardata" ha dovuto fondarsi ripetutamente, in tutte le sue sfaccettature, proprio su quella "ragione oggettiva", usando una terminologia marxista; dove, non a caso, "l'eredità" dell'illuminismo svolgeva un ruolo importante, come sottolineato da Kuczynski, per esempio, in relazione alle "leggi sociali". Ma la "modernizzazione ritardata" avveniva già ad un alto livello di sviluppo del moderno patriarcato produttore di merci, nel mercato mondiale e dell'industrializzazione, mentre sorgeva simultaneamente, per così dire, dallo stesso respiro, la "ragione strumentale" già supportata nel trattamento interpretativo della contraddizione, e precisamente sotto il postulato di "unità inseparabile fra teoria e prassi": quindi, nell'espressione di Horkheimer, in un certo modo come unità fra forma di costituzione e "forma di decadenza".
"L'unità" fra ragione oggettiva e soggettiva nella forma della mediazione politico-statale si lasciava cullare anche dalla teoria dell'azione, quando a volte l'intenzionalità politica veniva enfatizzata e sperperata, come se potesse guidare e modellare a suo piacere (come un falso "architetto") le categorie feticiste non-superate. Ciò nonostante, quest'opposizione immanente in rapporto alla metafisica della legalità, da parte della struttura depressa, fallì. Il dibattito sulla riforma, durato decenni, nel "socialismo reale" e in altri regimi di "modernizzazione ritardata", venne segnato dalla successiva capitolazione davanti alla "coercizione muta" delle pseudo-"leggi naturali" delle relazioni sociali, che si facevano valere per mezzo della matrice a priori. Pertanto, il riferimento di Kuczynski alla"inflessibilità" della "legge economica" si rivela come auto-profezia (profezia auto-avverante). "Essa abbatte sempre l'avversario", non appena viene riconosciuta come matrice a priori. Perciò la "unità inseparabile fra teoria e prassi" del marxismo di partito è riuscita, quasi senza interruzione, a dissolversi nel capitalismo planetario di crisi, una varietà "da portarsi a casa".
Secondo la critica radicale, con questo si è praticamente conclusa l'interpretazione ridotta della Tesi su Feuerbach. Teoria come "manuale di istruzioni", o postulato di un "utilizzo" o di una "realizzazione", di una "fusione" a priori con un qualsiasi tipo di prassi, e, di per sé, ragione strumentale; dove ci sono "istruzioni per l'uso", si parla solo di trattamento capitalista della contraddizione, il cui spazio d'azione ha già perso sostenibilità storica. Con questo si è anche concluso, allo stesso tempo, ogni evocazione della "ragione oggettiva" come presunta opposizione, la quale in realtà è stata la prima a programmare questa marcia delle cose e che, sotto le nuove condizioni di crisi, può solo ripetere la stessa caduta ad un ritmo sempre più accelerato.
8 – segue -
Robert Kurz
fonte: EXIT!