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Teresa Bertoncello, l'eremita del Monteluco

Creato il 26 novembre 2015 da Berenice @beneagnese

Sul Monteluco, la montagna sacra di Spoleto, una donna tiene in vita la Tebaide umbra: suor Teresa Bertoncello.

Il primo eremita ad arrivare qui dalla Siria mille e cinquecento anni fa fu il monaco Isacco, seguito da numerosi penitenti che si stanziarono tra gli anfratti e le grotte delle pendici boscose di leccio sempreverde e della Valnerina a praticare la solitudine, la preghiera, il lavoro.

L'opera di monaci e anacoreti durò fino al 1838; in epoca moderna gli eremi diventarono villini e abitazioni, ma dal 1971, prima ad Acquaiura e poi a Camporio, la tradizione millenaria che sembrava conclusa ha ripreso a vivere. Nella Diocesi di Spoleto-Norcia sono attivi sei eremi: Eremo degli Angeli, San Fiorenzo, la Santissima Trinità, Beroide, della Croce, della Madonna Appare.

Suor Teresa Bertoncello, padovana e ottantaseienne, è eremita sul Monteluco da più di quaranta anni.

Mi attrae l'idea di poter parlare con lei, dopo che ho già letto due dei suoi libri: uno sulle sante dell'Umbria, l'altro sull'esperienza dell'isolamento contemplativo.

Penso che sarà un incontro fuori dal comune e infatti lo è.

Mi accompagnano due amici, Lino e Graziella, che conoscono bene suor Teresa.

Il tragitto per arrivare all'eremo, tra lecci e querce, è tutto in salita, fin verso Patrico e i pascoli a più di mille metri, passando per la cresta della montagna che da una parte svela la pianura spoletina dall'altra i rilievi della Valnerina.

All'arrivo un grande masso indica la strada per l' Eremo degli Angeli; incontriamo una sorgente d'acqua, l'abbeveratoio e un bivio con l'edicola della Madonna della quercia che invita alla preghiera. L'ultimo tratto si percorre a piedi: volendo si potrebbe proseguire con una vettura attrezzata, ma perché non approfittare del tepore e della bellezza di una giornata di sole?

Dopo qualche centinaia di metri percorsi nel bosco, si scorge la casa. Bianca, con un comignolo stretto e lungo e una sorta di campanile che fanno pensare a due braccia alzate al cielo in preghiera. Accanto alla porta la data 1986 e il riferimento al biblico colle di Refidim.

Suor Teresa apre lieta, dando il benvenuto. Non dimostra gli anni che ha, indossa una tunica grigia cucita da lei, appare maestosa nell'esile figura. Ci conduce nella cappellina decorata da Beniamino Nicodemo con gli Angeli e i Cherubini, per portare il primo saluto a Lui, Cristo Eucarestia.

Gli Angeli sono i suoi sostegni, gli assistenti celesti che ne supportano gli sforzi, dice. La aiutano a sollevare i pesi e l' acqua dal pozzo, a superare quelle che sembrano fatiche insostenibili per lei che è avanti negli anni; le fanno compagnia, sono i suoi familiari.

Suor Teresa prega con la mente, la voce e il corpo tutto, il silenzio e la solitudine sublimano la sua relazione col divino. La casa è essenziale e ordinatissima, un tavolo di legno, un letto e un camino campeggiano nella prima stanza, nell'altra si intravedono libri.

L'eremita e teologa Teresa accudisce il rifugio, coltiva l'orto, raccoglie legna, attinge l'acqua, riceve la visita di tante persone in cerca di una sorgente di fede. Ascolta e parla, dona speranza e getta semi di riflessione, spesso rompendo gli schemi. Nei suoi libri scrive profezie, salmi, poesie, disegna, racconta la quotidianità, attraversata costantemente dal Sacro e a questo interamente dedicata.

Qualche volta scende in paese per acquistare cibi frugali e generi di necessità. Una volta è rimasta isolata nella neve per tante settimane.

'Abitare all'eremo equivale ad abitare la vetta, abitare le altezze a tutti i livelli' - risponde a chi le chiede il perché.


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