Terra d’Otranto e la pietra magica di Abrasax
11 ottobre 2013 di Vincenzo D'Aurelio
Verso e recto di un talismano d’epoca ellenistica con il dio Abrasax e la scritta “Iao Abrasax Sabaoth”
Alle pietre preziose i popoli di tutti i tempi e di tutte le culture hanno spesso attribuito virtù prodigiose. Nelle epoche più antiche, difatti, esse erano incastonate per ottenere amuleti i quali, a loro volta, costituivano parte integrante dell’abbigliamento. L’amuleto aveva la capacità di attirare o di custodire una speciale energia divina la quale, all’occasione, avrebbe protetto chi di esso ne deteneva l’uso. La funzione principale riconosciuta ai talismani era, pertanto, quella di propiziare ogni forma di bene come la fortuna e l’integrità fisica e, al contempo, evitare gli attacchi del male come la malattia e la povertà.
Nemmeno le popolazioni del Salento rimasero indifferenti al potere prodigioso delle pietre che, a parere di autorevoli studiosi, trova origine nelle credenze della cultura araba, e ancor prima fenicia, dove era molto marcato il valore simbolico assegnato dagli uomini agli oggetti ritenuti magici. In Terra d’Otranto tracce della cultura simbolica legata alle pietre era ancora riscontrabile, pur avendone progressivamente perso il senso originario, sino agli inizi del Novecento. Negli apparati dotali delle donne, difatti, tra gli elementi fondamentali, quali lenzuola e coperta, comparivano sempre anelli e orecchini d’oro con incastonati rubini e smeraldi oltre a vari pezzi di corallo rosso. In origine, ancor prima di essere considerati solo per il loro valore economico, tali preziosi avevano un valore altamente simbolico poiché, appunto, erano strettamente legati alla sfera della superstizione e precisamente ai temi della salute, della fecondità e del buon maritaggio.
Lo storico salentino Luigi Maggiulli (Muro Leccese, 1828-1914) riferisce che in Terra d’Otranto tra le pietre più rare e più ricercate, perché dotata di forte energia soprannaturale, c’era la cosiddetta pietra abraxas. Premesso che il nome corretto è abrasax perché abraxas è un’alterazione generata dai latini i quali, traducendolo dal greco ἀβράξας, confusero la sigma “ς” con la xi “ξ”, la notizia desta una certa sorpresa in quanto il potente potere magico assegnato a tale oggetto era già noto sin dai primi secoli dell’era cristiana.
L’abrasax, la cui etimologia è incerta, è una pietra di piccole dimensioni, non sempre preziosa, sulla quale sono incisi caratteri grafici e la figura del dio Abrasax ovvero un torso umano che regge nella mano destra un bastone e nella sinistra uno scudo, la testa di gallo o di leone e due serpenti per gambe. Secondo Basilide, eresiarca gnostico siriano del secolo II d.C., la deità corrispondeva al dio padre ingenerato ma i Padri della Chiesa, contestando le dottrine gnostiche e tacciandole di eresia, considerarono la divinità di natura diabolica e, precisamente, riferibile a Satana nei confronti del quale era celata una forma di culto demoniaco. Secondo recenti studi, invece, Abrasax è il dio Mitra perché fungeva da intercessore fra l’umanità e il dio unico o, secondo la concezione persiana, egli era il mediatore tra il Bene e il Male. La notorietà del termine abrasax, comunque, è precedente alla gnostica dei basilidi e quindi alla definizione della sua natura divina. Esso, difatti, era già presente, come segno portentoso e simbolo di totalità, nei papiri ellenici contenenti testi di magia e su molti amuleti dell’antichità classica quale segno di auspicio e d’invincibilità.
Diversi linguisti ritengono che la parola magico-rituale abracadabra provenga proprio da abrasax, anche se l’etimologia rimane comunque incerta. Paolo Martini, noto linguista italiano, afferma che la forma tardolatina “abracadabra” nasconde i termini greco-bizantini di ábracatà ábra ossia “spirito per spirito” e cioè uno scongiuro rituale diretto a contrastare l’azione degli spiriti maligni. Solo tra il III e il IV secolo d.C., perduta ogni trasparenza etimologica, i latini lessicalizzarono la parola. A tal proposito, infatti, il termine “abracadabra” compare per la prima volta in un’opera di medicina intitolata “Liber medicinalis”, scritta dall’erudito romano Quintino Sereno Sammonico e risalente all’epoca del Tardo Impero. In essa l’autore, ritenendo le malattie opera dall’azione malefica degli spiriti, scrisse che per guarire l’ammalato questi doveva indossare un amuleto contenente la parola “abracadabra”. L’iscrizione, inoltre, doveva formare un triangolo capovolto ovvero avere per base l’intera voce e nelle righe successive la stessa troncata sempre dell’ultima lettera sino a terminare, nel vertice, con la sola “A”.
Nel corso del Medioevo ricominciò la fabbricazione di talismani in pietra contenenti la parola abrasax e, contestualmente, anche il “Liber medicinalis” divenne un’opera di vasta diffusione. Conseguenza diretta fu il ritorno all’uso massiccio della parola “abracadabra” che, riconfermata quale parola magica di grande potenza, trovò il suo massimo utilizzo negli incantesimi, frequentissimi in quei secoli, formulati per sconfiggere febbri e infiammazioni.
La notizia fornita da Luigi Maggiulli, dunque, non solo permette di fare un vero e proprio viaggio attraverso i secoli ma, soprattutto, essa dimostra che la cultura di un popolo, per quanto si cerchi di circoscriverla e di specializzarla, corrisponde sempre alla sommatoria di tanti saperi – diversi sia per storia e sia per geografia – e perciò nessuna potrà mai essere definita autenticamente indigena.