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Terra Ribelle (di Francesco Marilungo)

Creato il 06 novembre 2011 da Istanbulavrupa

Terra Ribelle (di Francesco Marilungo)(segnalo la nuova recensione del’amico Francesco Marilungo su Lankelot: Terra Ribelle, di Christopher de Bellaigue)

Qualcuno la chiama “Armenia occidentale”; qualcun altro invece “Kurdistan del Nord”; piaccia o meno, secondo la cartografia corrente la terra in questione appartiene alla Turchia, ne costituisce la sua parte orientale e continentale. Secondo la definizione di de Bellaigue essa è Terra ribelle. Un luogo che da più di un secolo non conosce pace, né stabilità. Un luogo in cui l’identità è un fluido inafferabile e in continua metamorfosi, sulla base di logiche spesso dettate dalla forza e dalla coercizione, altre volte semplicemente indefinibili, arcane, ribelli. Il sottotitolo è eloquente: viaggio fra i dimenticati della storia turca. Partiamo dal principio.

Il Prologo ci racconta di un ravvedimento, di un riassestamento dell’asse focale storico-ideologica. Giovane e rampante corrispondente dalla Turchia per «The Economist», disinvolto, spiantato, padrone della lingua, de Bellaigue si accorge con colpevole ritardo di un’evidenza storica ineludibile: i presupposti del nazionalismo turco, che eleggono l’Anatolia a terra “destinata” alla nazione turca, sono basati, in larga parte, sulla menzogna. Su falsi storici. L’occasione che apre gli occhi del giovane corrispondente anglosassone è un suo articolo pubblicato sulla «New York Review of Books». De Bellaigue vive ormai da anni in Turchia, senza troppi scrupoli o meditazioni ha accettato e fatto propria l’impostazione ideologica del “turco medio” occidentalista, il kemalismo; ammira la figura di Atatürk per la sua caparbia resistenza contro il colonialismo europeo e trascura di criticare il culto ossessivo a cui viene sottoposta. L’articolo scritto per la rivista newyorkese, affronta la storia della Turchia dal sultanato sanguinario di Abdulhamit II alla costituzione della Repubblica da parte di Mustafa Kemal Atatürk, siamo tra l’ultimo quarto del diciannovesimo secolo e il primo del successivo. Qualche giorno dopo la pubblicazione, arriva alla rivista una lettera molto risentita, scritta da James Russell, professore di studi armeni ad Harvard. La «NY Review of Books» pubblica la lettera in cui l’accademico critica aspramente de Bellaigue per la colpevole trascuratezza con cui nell’articolo si faceva riferimento ai crimini compiuti contro gli armeni, proprio negli anni dibattuti dal pezzo. L’autostima professionale di de Bellaigue accusa il colpo. Si ravvede. Chiede scusa e recita un lungo “mea culpa” che poi altro non è che l’insieme delle pagine (317, per 22 euro.) di questo libro. Un viaggio appunto fra quei popoli e quelle identità che il nazionalismo turco, nel suo tribolato affermarsi, ha soppresso, negato o cancellato. Finalmente de Bellaigue si accorge che sotto al tappeto turco c’è un gran bel gruzzolo di polvere. E allora, con onestà intellettuale, alza il tappeto e solleva il polverone.

il resto, su Lankelot

 



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