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Terraferma

Creato il 05 ottobre 2011 da Mapo
Esistono alcuni film, principalmente i francesi, che assomigliano a pellicole all'apparenza incolori e sfumate, come poesie scritte in corsivo. Terraferma, invece, è un film in grassetto. Lo si avverte sin dalle prime scene, dove lo stile è volutamente calcato, pesante, prepotente e personale. La nuova opera di Emanuele Crialese, prima di essere un film, è un quadro.TerrafermaProtagonisti della pellicola sono i colori del nostro Sud, quelli più autentici: il bianco delle sopracciglia e delle barbe folte dei pescatori che parlano solo in un dialetto strettissimo che suona buffo alle orecchie del resto della penisola, il nero degli occhi e delle calze di una vedova che prega sotto il sole cocente e che trasloca la famiglia in garage per affittare l'appartamento ai turisti, il blu cristallino di un mare fatto di strati, in superficie i materassini dei milanesi venuti a trascorrere le tanto agognate vacanze estive, appena sotto sparuti branchi di pesci che, sempre più rari, nuotano schivando le reti e, nel profondo, i resti più desolati di naufragi improbabili, cadaveri di barche e di uomini neri periti in un viaggio alla ricerca della speranza.
Lampedusa è un appendice, un avamposto, per definizione. Lo si legge negli occhi di un bambino sub-sahariano, che ruota con i polpastrelli bianchi un mappamondo luminoso nella notte su quello scoglio che, si sa, non c'è sulla mappa. Sasso isolato, sosta obbligata nella rotta verso l'Italia, quella vera. Punto di arrivo di venti, correnti e persone. Alcune dal basso, assetate e in miseria, altre dall'alto, in cerca di sole caldo, pesce fresco e immagini sorridenti da immagazzinare nella memoria del cellulare per mostrarle ai colleghi a settembre.TerrafermaLampedusa è un simbolo perfetto di quell'ipocrisia tutta nostrana, un po' schizofrenica in grado di far convivere certe vite che provano a stento a scappare alla morte e alla disperazione e il divertimento sfrenato di "noialtri", disposti a spalmarci la crema solare sul bagnasciuga dove naufragano i corpi dei profughi.
Lampedusa è, paradossalmente, punta di un grosso Iceberg su cui ci troviamo ogni giorno, seduti sui nostri privilegi non meritati. Ci mette a confronto con una verità scomoda in maniera più diretta rispetto alla pagina di un giornale. E viene da chiedersi se ci sia più cattiveria nei remi di un giovane pescatore terrone che colpiscono le mani disperate di decine di profughi che, per mettersi in salvo, tentano di arrampicarsi su una barca da pesca o nelle nostre, quando nella cabina elettorale, come nei gesti di ogni giorno, pensiamo a difendere un orticello che, in buona sostanza, già non ci appartiene più.Andate a vederlo.

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